Quelli un po’ più avanti con gli anni, quelli che portano nel cuore la Roma di Liedholm e di Agostino, ricorderanno per sempre quell’uomo che correva per il campo con il passo corto, la pancia in avanti e la cravatta al vento, sempre al fianco di Giorgio Rossi, un altro pezzo di storia della Roma. Quell’uomo era Ernesto Alicicco, medico del club giallorosso per ventitré anni: se n’è andato ieri mattina, e il 7 novembre avrebbe compiuto novant’anni, i funerali domani alle 11 in Piazza dei Quiriti. Ha attraversato l’era di Anzalone, di Viola, di Ciarrapico («ma quella non era la mia Roma», disse in un’intervista al Romanista di qualche tempo fa) e di Sensi: dal ’78 al 2001.
Per il resto la sua missione da professionista della Medicina -oltre all’hobby che aveva per le macchine da rally – era rimettere in piedi i calciatori, o proteggerli pure quando si rendevano protagonisti di qualche ragazzata di troppo e magari avevano difficoltà ad allenarsi, e allora interveniva proprio Ernesto, che mandava il ragazzo di turno in infermeria a curare un qualcosa che non c’era. Presente quel glaciale pomeriggio a Bologna nel 1989, quando Manfredonia stava per perdere la vita, c’era anche quando a Nela si era fermato il cuore a Napoli (Ernesto raccontò che Sebi-no giocava in quella stagione senza l’idoneità sportiva).
Ha combattuto con le ginocchia di Ancelotti, con l’unghia di Falcao, con i muscoli di Voeller e Giannini, con l’appendicite di Bruno Conti e con i silenzi di Di Bartolomei, e proprio il Capitano lo portò nella Roma: lo aveva conosciuto verso la fine degli anni Settanta, quando andava a farsi curare nel suo studio privato in Prati, insieme con altri giallorossi dell’epoca, come Paolo Conti e Santarini. Ernesto ha visto nascere e crescere Totti e lo ha accompagnato fino alla porta dello scudetto.
FONTE: Il Messaggero