Quando Tammy Abraham è sbarcato su Instagram, a vent’anni, lo ha fatto in occasione del debutto in prima squadra. L’ultima foto, ad ora, lo ritrae invece, quattro anni dopo, con la Supercoppa europea in mano. Non l’avrà vinta da protagonista, così come la Champions, ma intanto il neo numero 9 della Roma ha fatto parte di un gruppo arrivato sul tetto d’Europa. E questo, a livello di crescita e di personalità, può avere un peso.
Perché la Roma sa di aver preso un giocatore importante, sa di aver fatto un investimento sul futuro (il più caro della sua storia), ma pure che avere nello spogliatoio giocatori abituati a vincere ha il suo peso. E Abraham, pur senza essere stato protagonista degli ultimi trionfi del Chelsea, un peso ce l’ha.
Tammy Abraham nasce il 2 ottobre 1997 a Camberwell, nel Sud di Londra, da papà inglese e mamma nigeriana. Tifa Arsenal ma la sua carriera si sviluppa tutta nelle giovanili del Chelsea. Ha un nome completo oggettivamente complicato (Kevin Oghenetega Tamaraebi Bakumo-Abraham) ma per tutti, da sempre, è Tammy, di professione attaccante. (…)
Tammy è la stella di casa, fidanzato con Leah da quando aveva 18 anni (mesi fa lei si scagliò contro il tecnico Tuchel per non averlo convocato in finale di FA Cup), amante della Grecia e di Dubai, dei vestiti firmati e della musica rap. Oltre 2 milioni di follower su Instagram, colleziona scarpe da ginnastica (nella sua casa di Londra ne ha centinaia di paia) e ha Nike come sponsor tecnico.
Il Chelsea è sempre stato parte integrante della sua vita. Non è un caso che gli inglesi abbiano voluto mantenere un diritto di recompra, valido dal secondo anno a Roma, per 80 milioni. Se Abraham, davvero, esploderà, loro vogliono poterci ragionare. E la Roma spera che accada, magari avendo anche la forza, in futuro di trattenerlo. (…)
Centravanti di grande fisicità, supera il metro e 90, all’occorrenza può giocare anche largo e ha buone doti tecniche, ha incontrato i colori giallorossi nel 2014-2015 quando nella Champions giovanile ha battuto la Roma di Pellegrini, con il Chelsea, segnando uno dei 4 gol con cui si imposero gli inglesi. Ama giocare nello stretto, dice di sentire “molto la porta” e si ispira a Drogba. Come calciatore e come uomo: “Avevo 9 anni, Didier mi vide al freddo mentre aspettavo di andare al campo delle giovanili e mi accompagnò personalmente. Quello lo fece diventare il mio eroe” (…)
FONTE: La Gazzetta dello Sport – C. Zucchelli