Stessa squadra, stesso stadio, stessi spogliatoi, stessi tifosi, nulla cambia, semplicemente si trasforma. De Rossi è tornato nel posto dove lo avrebbe prima o poi portato il cuore, è stato prima: “Non sono stupido: so che mi hanno chiamato perché con un altro tecnico la reazione della gente sarebbe stata devastante e non perché sono rimasti folgorati dal gioco della Spal”. Eppure a Ferrara, nonostante l’esonero, De Rossi – “il nostro mister” lo chiama ancora chi è lì – sembra che abbia lasciato solo bei ricordi.
“Qualcuno ha pianto quando è andato via” ricorda Alberto Pomini che ha smesso a fine stagione. “È un appassionato, lavora ore, ha una grande capacità comunicativa, crea empatia”, racconta Fabio Lupo, ex direttore sportivo. “Ricorda Spalletti, ma anche un po’ Luis Enrique”. I due allenatori che infatti De Rossi cita, ricorda, stima, due tecnici che ha amato, che ha difeso ed esaltato.
Vuole il dominio della metà campo avversaria: “Non ha mai avuto idee vincolanti – racconta ancora Pomini – ma modi moderni di interpretare le partite: lascia libertà ai giocatori di talento, cerca gli spazi, ma la sua vera forza è essere ancora un giocatore, uno di noi, capace però di mantenere distacco ed essere comunque autorevole”.
FONTE: La Repubblica