“Ho perso le parole – cantava Ligabue qualche anno fa – vorrei che mi bastasse solo quello che ho”. Sembra la situazione attuale dell’idillio tra José Mourinho e i romanisti. O quanto meno, i romanisti che vanno allo stadio in più di 60 mila ogni volta che gioca la Roma all’Olimpico. L’ha detto l’allenatore della squadra giallorossa, dopo la gara con la Cremonese di Coppa Italia: «Non ho più parole per la gente – ha spiegato in conferenza stampa – Ho vinto tanto con tanti club, ma in nessuno di questi club ho avuto questo livello di rispetto e tenerezza, ovviamente mi emoziono».
Perdi, vinci, pareggi. «La gente sta lì», non fischia o comunque molto meno in qualsiasi altra parte del mondo. Un amore sempre più solido, un plebiscito. Almeno per quello che accade allo stadio. Che a qualcuno lo Special One non vada giù ci sta anche e ci mancherebbe in una città da tre milioni di persone. (…)
Ha vissuto il riscaldamento prima dell’incontro coi grigiorossi che ha qualificato un po’ al cardiopalma la squadra ai quarti di finale dove incontrerà la Lazio in panchina, davanti alla Monte Mario. E ci ha fatto un po’ l’amore. Prima e dopo, in realtà. Applauditissimo prima del fischio di inizio, quando ha ricambiato con ampia gestualità, applauditissimo dopo. Quando, scorto dalle telecamere, l’abbiamo visto commuoversi, come lui stesso ha ammesso a fine gara.
Non sono le prime lacrime dell’ormai ex sergente di ferro, scorbutico, anche anti-romanista che era. È proprio vero che l’amore con l’amore si paga. Ci volevano i romanisti, in combo con l’età della saggezza, forse, per intenerire oltre modo lo Special One. Già alla partita numero 1.000 da allenatore professionista (…) aveva pianto e corso sotto la Sud come un giocatore.
Le sue sbracciate da nuotatore, esultante, nella cavalcata della Conference League del suo primo anno da romanista, la rete “sbatacchiata” di Leverkusen e le lacrime sotto il settore per aver raggiunto Budapest, le vittorie sofferte contro chiunque. Le lacrime più piccole, le lacrime più grosse, José è un duro che non perde mai la tenerezza. Lo sanno i romanisti, dalla Sud in poi, che chiedono a gran voce il suo rinnovo. (…)
FONTE: Il Romanista – G. Fasan