Nascondersi dietro un palo è come nascondersi dietro un dito: alla fine ti sgamano. La sconfitta è arrivata per motivi tecnici. Ossia per tutte quelle ragioni a causa delle quali La Roma di Mourinho non fa quattro passaggi di fila. Mancano troppi piedi all’appello. E così quando si arriva al punto, l’unico punto, in cui il gioco del calcio diventa uno sport individuale, io contro te, io batto il rigore e tu (forse) lo pari e comunque fai il possibile per evitare che la palla finisca dentro.
Se lo scorso anno è bastato, se è bastato nelle partite di ritorno con la Real Sociedad e con il Leverkusen, a Budapest no, non è stato sufficiente quel fatale compattarsi, quell’essere una cosa sola, da Belotti a Rui Patricio. passando per Bove (che ieri però ha giocato solo pochi secondi). Pur non essendo il Siviglia di cinque anni fa, la tensione dei primi venti minuti del secondo tempo si è fatta sentire quando Mancini non ha avuto la giusta reazione neuro-mu-scolare su quel cross teso da destra di Navas.
Di più la Roma non poteva fare. Nemmeno sperare di essere competitiva ai rigori. Se Mourinho dice ai suoi ragazzi “io sono qui per voi”, e non c’è dubbio che sia onesto, il portoghese è altrettanto onesto quando usa per quattro volte in tre secondi l’aggettivo “stanco”. A voler dire: stanco di tutto. Forse è ora di ripensare. Ma proprio a tutto. Per diventare la Roma che compete in campionato, ci vorrebbero più piedi e, finalmente, un gioco. Qualcuno deve entrare, qualcuno uscire. Un altro anno così te lo scordi.
FONTE: La Repubblica