Succede che un pareggio porti a divisioni estreme nei giudizi della partita sia sulla prestazione generale sia nelle pagelle dei singoli. La partita di Bologna è paradigmatica in questo senso perché bisogna valutare una squadra che per un’ora di gioco ha offerto una ottima prestazione e nella successiva mezz’ora ha buttato via tutto quello che di buono era riuscita a costruire, per poi riacciuffare all’ultimo secondo utile il pareggio che tutto sommato accontenta tutti, tranne Italiano che, come spesso gli accade, nel post partita eccede sempre un po’ troppo nelle valutazioni, spesso accondiscendenti verso se stesso e troppo dure rispetto al mondo circostante.
Nell’analisi della partita, però, è giusto invece cominciare sottolineando proprio i meriti tecnico-tattici di chi questa squadra l’ha costruita – e dunque al genio di Sartori – e di chi non si è fatto problemi nell’ereditare il giocattolo (parzialmente smontato) che così tanto aveva divertito i tifosi nella gestione Motta. Il Bologna oggi è una squadra speciale, ricca di talenti e di forza fisica, solida, aggressiva e sofisticata, capace di coprire il campo e ogni linea di passaggio nella fase di non possesso e di ripartire forte in verticale non appena le circostanze (o la pigrizia) della squadra avversaria lo consentono. Onore al merito, dunque, di Italiano e pazienza per gli eccessi verbali che lo portano a volte a sottovalutare pregi e meriti degli avversari (se non quando vengono strumentalmente utilizzati per aumentare il riconoscimento della propria prestazione).
Premesso tutto ciò, a chi scrive la Roma a Bologna per larghi tratti è piaciuta parecchio, anzi parecchissimo. La mancata vittoria di Bologna, infatti, non ha niente a che vedere con le precedenti 12 di campionato, per una serie di motivi che in questa sede si possono approfondire. Intanto la prestazione offerta fino al maledetto gol del pareggio, arrivato per l’esattezza al minuto 16 del secondo tempo, dunque, appena passata l’ora di gioco. Per solito un’ora è un periodo di tempo piuttosto congruo per poter valutare pregi e difetti delle due squadre in campo.
Ebbene fino a quel punto del pomeriggio la Roma era stata capace non solo di annullare qualsiasi velleità offensiva del Bologna, ma anche di proporre una partita assai produttiva sotto il profilo del coraggio tattico e dell’interpretazione agonistica con una soglia di attenzione altissima a spegnere ogni iniziativa offensiva del Bologna e con la giusta qualità tecnica per consentire di spaventare gli avversari in diverse proposte offensive. Non a caso, nel taccuino del cronista in quell’equilibrato primo tempo spiccavano solo azioni costruite dalla squadra giallorossa attraverso riuscite percussioni o ricercate transizioni.
L’occasione migliore, ad esempio, nasce – è vero – da un errore di impostazione di un difensore centrale rossoblù, ma è importante soffermarsi sull’interprete della Roma che ha spezzato quella costruzione: Saelemaekers, teoricamente “quinto” di difesa, in realtà usato spesso “quarto” d’attacco. Non è un caso che sia stato lui a lanciare la ripartenza alta, passata poi attraverso l’altruismo di Dovbyk e la conclusione purtroppo sfortunata di Dybala. Insomma, per un’ora di gioco è stata una bella partita tra due squadre in salute, con una delle due che si stava prendendo l’inerzia della gara: la Roma.
Da che cosa, poi tale inerzia è stata cambiata? Da una sfortunata ripartenza e da un episodio sul calcio d’angolo, casuale proprio come il pareggio al 98º. E qui bisogna soffermarsi per un attimo sull’importanza dell’aspetto animistico (così una volta lo definì Guardiola) che in una partita a volte finisce per prevalere su ogni altra questione, che sia di natura tecnica, tattica o agonistica. L’inerzia, cioè, cambia all’improvviso e non c’è valore espresso in milioni di euro di valutazioni o nelle filosofie tattiche che possa cambiarlo.
Se in una partita così combattuta prendi un gol molto casuale in contropiede e subito dopo il rigore del sorpasso con un tocco involontario e imprevedibile di mano è inevitabile che contro un avversario così di valore ci sia un riflesso sulla partita. E che all’improvviso – e questo è l’effetto deleterio che ti porti dietro dalla maledetta stagione che stai giocando – ti fa sembrare inaccessibile quella strada su cui così faticosamente ti eri ritrovato solo due minuti prima. All’improvviso hai la sopraggiunta necessità di dover spingere in attacco senza quella razionalità che pochi istanti prima ti permetteva di controllare il gioco senza sbavature, da un momento all’altro le distanze si allungano e gli avversari forti e ben preparati tatticamente ne approfittano.
Lì la Roma ha sbandato ed è giusto che l’allenatore oggi si soffermi su questi errori che non sono limitati, come ha detto Ranieri nell’analisi finale, alle sole marcature preventive. Se ti ritrovi ad attaccare con sette dei tuoi 10 uomini di movimento viene a mancare il presupposto stesso di marcatura preventiva, perché il calcio è fluido e diventa quasi impossibile affrontare in superiorità numerica gli avversari in una eventuale ripartenza, specie se sono bravi a muovere il pallone e a correre senza dare riferimenti verso la tua porta.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco