È chiamata anche “la città che non c’era”, nessuna fiaba o racconto artefatto. È semplicemente la storia di Lelystadt, città sorta letteralmente dal mare solo nel 1966 nella provincia del Flevoland, in Olanda. Cittadina a ben 3 metri sotto il livello del mare: tra una storia relativamente moderna, piccoli canali ad attraversarla e diverse opere di Land Art a caratterizzarne il paesaggio suggestivo. Ma cos’hanno in comune una città portuale e Roma? Devyne Rensch. È proprio in questa terra che, il 18 gennaio 2003, nasce quello che adesso è il numero 2 giallorosso.
Origini del Suriname, sulla scia dei diversi dei maggiori talenti olandesi di tutti i tempi come Gullit; Rijkaard, Davids, Seedorf, Patrick Kluivert; o più recentemente, Van Dijk e Wijnaldum: il sentiero tracciato non poteva che portare al calcio. Un amore che scorre nelle vene fin dai primi anni di vita. E a 8 anni Devyne comincia a muovere i primi passi nella squadra della sua città, il V.V. Unicum soprattutto, inizialmente, in una speciale Academy. Nessuno meglio di Peter van der Horst, primo allenatore di Rensch fin dai primi giorni nell’Academy, può testimoniare la crescita del ragazzo: “Conosco Devyne da quando ha 8 anni. Ha iniziato nella mia Academy proprio a quell’età. Ho avuto modo di allenarlo fino all’Under 13, poi dopo quell’anno sono arrivati i primi interessamenti dei club importanti. Sia l’Ajax che il PSV Eindhoven lo volevano”, ha esordito van der Horst a Il Romanista.
Se la duttilità rientra tra le caratteristiche principali di Devyne, il motivo viene da lontano: “All’Unicum ha iniziato come difensore centrale, ruolo che ha poi proseguito anche nel settore giovanile dell’Ajax e nelle giovanili della nazionale olandese. Quando è arrivato il momento dell’esordio tra i grandi, con ten Hag, il tecnico ha scelto di impiegarlo come terzino”. Ma non solo qualità tecniche, ciò che ha sempre contraddistinto il ragazzo è il carattere: “Ha un carattere stabile, ha sempre avuto un solo obiettivo: diventare un calciatore professionista. All’inizio della sua carriera era un bambino timido, ma quando ho intravisto il suo talento ho scelto di renderlo capitano della squadra per responsabilizzarlo e per sviluppare la sua personalità. Devyne è davvero un bravo ragazzo. Abbiamo lavorato sull’utilizzo di entrambi i piedi nel giocare la palla: è veloce, flessibile e aperto all’apprendimento dei dettagli. È molto utile lavorare individualmente sulle abilità tecniche, specialmente per un difensore che deve proteggere la palla sotto pressione. È giovane ma con tanta esperienza, ha un grandissimo potenziale”.
Un grande, grandissimo potenziale che nel tempo ha attirato l’interesse di diversi top club europei. Ma c’è stato un momento in cui, la carriera di Devyne, sembrava potesse finire ancor prima di prendere il volo: “Quando Devyne aveva 11 anni, ho firmato un contratto di due anni con la nazionale Under 17 dell’Oman. Dopo essere tornato all’Unicum, inizialmente non ho visto Devyne: aveva smesso di giocare a calcio perché aveva un infortunio al piede, il Morbo di Sever (più precisamente, è un’infiammazione del tallone nei bambini e negli adolescenti dovuta a stress ripetuti sul nucleo di crescita del calcagno, il punto di inserzione del tendine d’Achille, ndr). Sono andato immediatamente a casa di sua madre per assicurarmi che ricevesse fisioterapia per il suo infortunio e ho detto loro che il ragazzo non avrebbe mai dovuto smettere di giocare a calcio. L’ho riportato al club e, una volta guarito dall’infortunio, ha iniziato a giocare così bene che l’Ajax, il PSV e la nazionale olandese lo hanno voluto. Siamo così orgogliosi che ora giochi nella Roma, il club di Totti!”.
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FONTE: Il Romanista – L Paielli











