Regola numero uno: quella di Daniele De Rossi ieri alla Coach Experience di Rimini non è stata una lezione: «Se mi avete invitato pensando che io voglia fare una lezione riprendo subito il treno e torno a casa. Io sono qui per imparare semmai, per confrontarmi con tanti allenatori. L’ho fatto spesso quando stavo dall’altra parte del banco, ogni esperienza avuta con qualche tecnico già affermato mi ha arricchito, magari anche con quelli che non mi sono piaciuti, perché ho capito che cosa non avrei mai dovuto fare con i miei calciatori». Non è stata una lezione, ok, ma a sentire gli applausi scroscianti che gli oltre 400 tecnici convenuti nei padiglioni della Fiera l’ora di chiacchierata con l’allenatore della Roma è stata davvero apprezzata. Non avrà nulla da insegnare, eppure ad ascoltarlo si impara davvero ogni volta qualcosa di diverso. In questo articolo non riporteremo tutto perché in ogni caso l’intervento è stato ad uso e consumo dei tecnici, per l’evento clou della tre giorni riminese, ma abbiamo pensato di farne comunque una sintesi perché il pensiero calcistico di Daniele De Rossi è molto sofisticato e merita di essere trasferito anche ad un altro tipo di appassionati, per esempio i tifosi che leggono il nostro quotidiano.
Come è nata con la Roma… «È stata un’emozione fortissima, nata in 24 ore. Sì, qualche indiscrezione era già uscita, ma la leggevo sui giornali e ogni tanto capita di leggere cose inventate, invece è stato tutto molto veloce e tutto molto segreto. Il primo giorno avevo in mente di fare trenta allenamenti al giorno. Ero emozionato, anche se sono uno che le emozioni le gestisce bene. Ma la mia prima partita col Verona me la ricorderò sempre, avevo tanti dubbi, molti ne ho ancora, ma poi siamo migliorati piano piano. Ora mi guardo indietro ed è tutto normale, ma è passato tutto così in fretta. Ci tenevo a dimostrare di poterci stare per allontanare anche lo spettro del fallimento della prima esperienza. Potrebbe essere una barzelletta, ma se avessimo pareggiato e non vinto la prima magari sarebbe cambiato tutto».
Sistemi fluidi o confusione? Una frase che Luis Enrique ripeteva sempre è “Se avessi avuto più tempo, ti avrei scritto una lettera più corta”… “La trovo bellissima. Io a volte devo trattenermi per non dare tutte le informazioni. Io penso sempre da allenatore a quello che a me da giocatore non piaceva, Avevo allenatori che facevano riunione tecnica sabato mattina, sabato sera, domenica mattina, poi prima di salire su pullman, poi prima del riscaldamento e poi anche alla fine: “Giusto due cose”. Secondo me questo trasmetteva la loro insicurezza, non quello che volevano loro. Poi tatticamente l’importante è non chiedere cose opposte, condizionerebbe la riconoscibilità. Quello che abbiamo fatto spesso è stato anche frainteso: dire magari che giochiamo a tre se il terzo è Angeliño, che poi ti ritrovi sulla bandierina, è limitante. Per me l’organizzazione vera deve riguardare la fase difensiva, devi sapere come difendere, come mettersi contro gli avversari. Per esempio noi siamo partiti con grandi pressioni offensive e dopo un paio di partite ho cambiato e ho detto loro: “Ragazzi, possiamo anche difendere più bassi, torniamo presto sottopalla e vediamo, senza cercare troppo pressioni alte o riconquiste estreme”. E li vedevo che più bassi si sentivano comodi. Poi piano piano abbiamo provato ad uscire da questa schiavitù. Cambiare è bello, ma 4-5 giocatori devono essere bravi nelle letture, soprattutto riconoscere il pericolo, cosa che a noi e a me è mancato, dopo un po’ ci avevano capito e quando perdi palla sei vulnerabile. Tutte cose che col tempo impareremo/imparerò. Certo, se un giorno gli chiedo il 442 basso e il giorno dopo 334 lassù li metto in confusione. Io preferisco dare le certezze su posizioni, funzioni, modalità di espressione di gioco».
l potere al servizio degli altri… «Io sono stato un buon compagno di squadra, me lo dico da solo, e non ho mai abusato anche della posizione di calciatore importante, soprattutto in una città come la nostra che vive per il calcio. Il potere che avevo lo mettevo a disposizione per i compagni. Ora cerco sempre di far capire ai ragazzi che è sempre un buon momento per dire bravo al compagno anche se sbaglia o quanto meno di non far pesare l’errore, perché è quello che facevo io da calciatore e lo voglio trasmettere».
La costruzione dal basso…
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FONTE: Il Romanista – D- Lo Monaco