Le speranze dell’Italia del pallone sono verdi, a volte verdissime. E, soprattutto, intrecciate perché aperto è il canale fra la Nazionale di Mancini e gli azzurrini dell’Under 21: a quest’ultimi il 2019 dà l’occasione di trasformarsi in supereroi vincendo l’Europeoche si giocherà in Italia nel prossimo giugno. Evento con in palio anche il pass per le Olimpiadi di Tokyo 2020.
Gigi Di Biagio, come giudica lo stato dell’arte dei nostri migliori ventenni lei che li dovrà guidare nell’appuntamento più atteso? «Non abbiamo un Totti o un Del Piero o, forse, non l’abbiamo ancora scoperto. Ma il talento c’è ed è “diffuso”».
Un talento «diffuso» che, fra cinque mesi, saprà reggere la pressione di un Europeo in casa? «Ai nostri ragazzi, anche ai più bravi, manca quell’abitudine a giocare quando in palio c’è qualcosa di grande: l’Europeo in Italia, con le sue straordinarie attenzioni, aiuterà un’intera generazione ad accelerare il processo di crescita».
Le faccio dei nomi. Un giudizio su Kean, il primo 2000 in campo con la Nazionale dei grandi… «Un ragazzo con doti straordinarie: dà sempre la sensazione di poter inventare qualcosa perché non si accontenta mai».
È giusto che vada a giocare là dove troverebbe spazio? «Per lui, ma solo per lui, vale una regola diversa: se ti alleni tutti i giorni in una squadra come la Juve, dove devi evitare di prenderle da Chiellini o Bonucci, puoi migliorare anche se giochi poco nel fine settimana».
Zaniolo? «Un predestinato. È incredibile come stia mettendo in mostra tutte le sue qualità in un colpo solo…».
Qualcuno vede in Tonali un nuovo Pirlo… «Tonali è bravo, molto bravo. Direi universale e sul ruolo ho una mia idea: più che centrocampista “basso”, lo vedo interno».
All’appello manca un baby difensore. Bastoni le piace? «Sa unire eleganza e cattiveria. Un po’ Chiellini, un po’ Romagnoli».
Andremo all’Europeo senza paura… «Arriveremo all’Europeo pronti a giocarcela con tutti. Ce lo ha detto il modo con il quale abbiamo affrontato, a novembre, Inghilterra e Germania: contro due delle pretendenti al titolo abbiamo perso senza meritarlo».
Si può dire che il tridente «leggero» usato da Mancini sia figlio dell’esperienza della sua Under agli Europei di due anni fa, Germania battuta con Berardi, Bernardeschi e Chiesa là davanti? «Fu una grande impresa, è vero. Ma quello che si può dire è che io e Roberto (Mancini, ndr) pensiamo il calcio allo stesso modo».
C’è un input perché dall’Italia maggiore in giù si giochi con lo stesso modulo? «Nessun input, ma stessa lunghezza d’onda all’interno dell’attuale federazione. Mi dispiace quando sento i colleghi bocciare terzini che sanno spingere perché sostengono che non fanno attenzione alla fase difensiva».
Le faccio altri nomi. Donnarumma, Chiesa, Barella e Pellegrini: Mancini li ha promossi, lei li considera ancora arruolabili per il vostro Europeo? «Tutti lo sono. Anche loro. Una cosa è certa: avrò a disposizione la squadra più forte possibile».
Avrete addosso anche gli occhi del Coni: non entrare in semifinale significherebbe dire addio alla terza Olimpiade di fila... «Lo sappiamo».
Sappiamo anche che, ormai, è la Nazionale a preparare i giocatori per i club e non viceversa. «Che i nostri giovani giochino poco è un dato, nessuna polemica. Ma la verità sta, come sempre, nel mezzo: perché non trovano il coraggio di mettersi alla prova anche in una categoria inferiore? La storia di uno come Politano è un caso di scuola: un po’ di Lega Pro, la B e in A in una squadra di provincia prima del grande salto all’Inter e in azzurro».
Come sono i giovani di oggi fuori dal campo dall’osservatorio privilegiato di chi guida l’Under dal 2013? «Oggi una generazione cambia in due anni e noi dobbiamo parlare il loro linguaggio: io da cosa scrivono o da quale foto mettono sui social capisco che giocatore ho davanti, il suo carattere, la sua personalità…».