Chissà come lo immagina: di testa in tuffo, di destro, di sinistro, di potenza o con un facile tap-in. Tra sogno e realtà, il primo gol all’Olimpico in campionato di Artem Dovbyk è una promessa che il centravanti ucraino vorrebbe mantenere già stasera contro l’Empoli. A tutti i costi. Perché entrare nel club esclusivo dei grandi centravanti del dopo Roberto Pruzzo che hanno deliziato al debutto in casa i tifosi giallorossi è uno di quei piaceri da custodire come un gioiello. E perché chi lo segna rimane poi avvolto negli anni da un’aura di magia, che solo chi ha vissuto il momento può cercare di spiegare.
L’attaccante ex Girona, con la coppia argentina di suggeritori alle spalle formata da Paulo Dybala e Matias Soulè, vuole diventare iconico come i suoi illustri predecessori e urlare subito tutta la sua gioia, strozzata in gola una settimana fa dopo aver colpito la traversa a Cagliari proprio sul cross col contagiri della Joya, che stasera sarà l’eroe della notte romana dopo il no all’Al Qadsiah. Nella mente dei tifosi, tra una generazione e l’altra, lampeggiano esultanze e immagini di festa di centravanti portati in trionfo. Istantanee che sono rimaste impresse nel tempo, in quel valzer della memoria ambientato all’Olimpico.
A Rudi Voeller, il 20 settembre 1987, toccò sbarazzarsi del Cesena: gol del tedesco e raddoppio di Zibì Boniek. Abel Balbo non lo dimenticheranno mai, i tifosi giallorossi. Era il 5 settembre 1993 e l’argentino piegò la Juve come il più opportunista degli opportunisti in area (finì 2-1).
Mentre a Gabriel Batistuta il primo ottobre 2000 (il campionato iniziò in grosso ritardo a causa dello sciopero dei calciatori) bastò provocare l’autorete di Castellini in Roma-Bologna per scatenare l’entusiasmo all’Olimpico, dopo il precedente acuto di testa di Francesco Totti. Tutti momenti di gloria e estasi che stasera Artem vorrebbe rivivere da protagonista, dopo aver visto da vicino nell’Archivio Storico del club le maglie dei grandi ex di cui ora è chiamato a raccogliere l’eredità sottoporta.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. D’Urso