Mani in tasca per 90 minuti, passeggiando da un estremo all’altro dell’area tecnica. Sguardo vitreo, rassegnato, ben prima del gol Calhanoglu, del raddoppio di Dzeko o del tris di Dumfries. Mai come stavolta, se il linguaggio del corpo esprime realmente qualcosa, la Roma è stata immagine e somiglianza di Mourinho. La spiegazione a questo atteggiamento arriva nel post-gara dove le parole sono più dure che mai. Perché per una volta non serve sbraitare, polemizzare o alzare la voce per sviare l’attenzione.
Basta ascoltarlo: «L’Inter è più forte di noi in condizioni normali, senza Pellegrini, Abraham, Karsdorp e Perez lo è molto di più. Con il poco potenziale in avanti a disposizione non potevamo fare altro. Primo e terzo gol sono ridicoli, ma a questi ragazzi non posso chiedere di più. Con loro non riesco ad avere un feeling negativo. Chi dà quello che ha, non è obbligato a dare quello che non ha». L’idea su questa squadra se l’è fatta ormai da un paio di mesi, quando si lasciò scappare una frase che oggi torna d’attualità: «Ora ho capito, quello che quando arrivai non avevo ancora ben presente». Ieri è arrivata la conferma.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina