Dovbyk. Attento, proto, si sarebbe detto una volta richiamando la “cortese attenzione” tipografica, ma adesso “attento dito” perché c’è il bello della diretta, dalla tastiera al lettore e il refuso tracima. Dovbyk, dunque, e non Dobvik, qual è comparso l’altra sera all’Olimpico, nel secondo tempo, il cognome di Artem, il presunto bomber della Roma (direbbe Dagospia “centravanti per mancanza di centri”…).
L’ucraino, per non essere “mister maglietta bagnata”, nell’intervallo ha cambiato indumento ed è rientrato sfoggiandone una su cui era stampato (incollato a mano e ferro a vapore?) Dobvik, con la “b” che aveva sorpassato la “v” e con la ypsilon nazionalizzata nella “i”. Un giallo (rosso): chi? Perché? È che la Roma di questi ultimi (e penultimi) tempi ne combina d’ogni colore, forse perché l’italiano le è sconosciuto, e il romanesco di più, per non dire del “romanista”.
Resta il fatto che potrebbe rivelarsi una buona operazione di marketing: il nome sbagliato è rarità da collezionista. Un po’ come le 500 lire d’argento che celebravano la conquista dell’America e le tre caravelle sfoggiavano vele controvento, che avrebbero portato Colombo in Turchia; o come il “Gronchi rosa”, il francobollo che celebrava una visita presidenziale in Sudamerica, disegnando confini del Perù non più corrispondenti ad un Atlante aggiornato. Anche la Roma sembra andare controvento come le caravelle e sembra in una serie sconfinata.
FONTE: Il Messaggero – P. Mei