Troppo semplice, esercizio addirittura superficiale, ritenere che la Roma ne abbia presi quattro dal Sassuolo anche perché si è privata – oltretutto a stagione in corso – del terzo capitano in meno di tre anni, di un altro volto di riferimento per squadra e tifoseria. In tal senso sono condivisibili le parole di Walter Sabatini, ex uomo mercato di Lazio e Roma e profondo conoscitore delle “evoluzioni capitoline”, ma è impensabile che la partenza di Florenzi possa avere avuto effetti negativi così immediati.
Le pubblico, quelle parole, per chi se le fosse perse e volesse farsi un’idea propria: «È come se di Roma rimanesse solo la periferia. Senza nulla togliere alla periferia. Giocatori di questo tipo costituiscono il cuore pulsante della città, il Colosseo, i Fori Imperiali e tutto quello che volete. Speriamo che diventino periferia quelli di casa. Florenzi è stato l’ultimo capitano. Il testimone a chi può passare? Immagino che il prossimo sia Pellegrini. Non credo che il vero problema della Roma sia individuare un capitano romanista e romano. Il problema per la Roma, come per tutte le squadre, è individuare un grande capitano e trovarlo. Perché i grandi capitani sono rari». I leader, indispensabili. Non per questa Roma, però.
E troppo semplice, addirittura elementare, sarebbe (è) puntare oggi il dito sull’inconsistenza della linea difensiva presentata da Fonseca: Santon, ex plusvalenza, pur se giocatore di notevole impegno e discreto rendimento, il giovane Mancini, Smalling e Spinazzola, inizialmente consegnato all’Inter per avere Politano e poi, una volta rientrato alla base, eletto titolare di fascia. I quattro di Reggio, là dove c’erano Florenzi, Manolas, Fazio e Kolarov, escluso per la seconda volta di fila nonostante la sua esperienza, i suoi gol, la sua personalità – tralascio per decenza il cambio Santon-Bruno Peres, ex desaparecido.
Troppo semplice, addirittura banale, ricordare che l’estate scorsa Guido Fienga fece trasmettere il claim del suo programma stagionale (“Roma anno zero”), articolato in primo luogo nell’addio a De Rossi ispirato da Pallotta, e riassumibile nella formula «meno costi, più competitività». Il bilancio provvisorio non è in linea con i piani: stessa posizione di un anno fa, quinto posto (nel 2019 insieme ad Atalanta e Lazio e a meno uno dal Milan) con 4 punti in più; 4 anche i punti presi nelle ultime 5 partite, oltre all’eliminazione dalla coppa Italia. Non dimentico che a inizio febbraio ’19 Di Francesco era al centro della contestazione e che un mese dopo, il 7 marzo, sarebbe stato sostituito da Ranieri.
Troppo semplice, addirittura grottesco, pensare che il crollo possa dipendere principalmente dall’interminabile e sfinente fase di passaggio da Pallotta a Friedkin. Ovvero, da un proprietario che non ha alcun interesse a spendere perché sta per mollare a uno che non investe fino a quando non diventa il padrone a tutti gli effetti. E’ storia il progressivo impoverimento tecnico della Roma derivato dall’assenza di investimenti e dall’esposizione allarmante e allora preferisco formulare una domanda: tutti hanno detto, scritto e ripetuto che la squadra ha bisogno di un esterno basso, di un vice-Zaniolo e soprattutto di un attaccante in grado di far rifiatare Dzeko, possibilmente segnando qualche gol.
Bene: a gennaio sono arrivate due “scommesse” del calcio europeo, Villar e Carles Perez, mentre Kalinic, che tre anni fa ha smesso di essere Kalinic, risulta invenduto. Che senso ha puntare sui giovani in una fase di transizione quale l’attuale? Trovandosi – la Roma – in zona Champions, l’obiettivo tecnico-economico di sempre, meglio tentare di risolvere i problemi immediati per cercare di centrare il risultato che porta milioni e prestigio o lasciare irrisolti i problemi ipotizzando un futuro e rischiando l’uscita? «Star fuori un anno dalla Champions è un problema, due una disgrazia», si recitava tempo fa a Trigoria..
Il silenzioso Guido Fienga («meglio parlare poco per evitare di dire cazzate», tra i princìpi-guida), 50 anni ad aprile, ex amministratore di Dahlia (liquidata) e nel 2000 manager di punta dell’allora neonata Wind (dove era il vice di Paolo Dal Pino, grazie a GF nuovo presidente della Lega), ultimo incarico pre-Roma in Sistemia, azienda della capitale che lavora “nel campo della riscossione dei crediti del settore pubblico”, è un manager trovatosi quasi per caso al comando della Roma: non essendo “gente di calcio” e non volendo restare a lungo, ripete spesso che questa è la sua prima e ultima esperienza.
Ma tutte le mosse autorizzano conclusioni opposte: essendo uomo di fondo (Highbridge) e relazioni internazionali, resterà anche con Friedkin, trascorrendo i prossimi mesi col timore a questo punto fondato di non riuscire a consegnargli una Roma priva di certezze. L’unica verificata, al momento, è la sofferenza dei tifosi e di chi segue quotidianamente le vicende della Roma con passione, senza pregiudizi e con un alto tasso di credibilità.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni