A fine partita, vinta come piace a lui, José Mourinho ha chiamato a raccolta tutti i giocatori della Roma a centrocampo. In mezzo al cerchio ha spiegato l’importanza di questi tre punti nella corsa Champions League ma, ancor di più, quali sono sempre stati e sempre saranno i suoi valori: l’agonismo, la capacità di fare un metro in più per aiutare il compagno di squadra, l’orgoglio di vestire i colori sociali, non tirarsi mai indietro.
La vittoria contro il Verona non passerà alla storia dello spettacolo, ma può essere lo stesso una tappa importante della stagione e il motivo è chiaro: è arrivata con una prestazione dove l’impegno ha fatto, per forza di cose, anche la parte della qualità.
Alle assenze di Dybala (affaticamento muscolare, preservato per Roma-Salisburgo di giovedì) e di Pellegrini (in panchina anche lui acciaccato) si è aggiunta subito quella di Abraham. L’inglese, influenzato alla vigilia, non doveva nemmeno giocare ed è stato abbattuto dal fuoco amico (Mancini che cercava una rovesciata in area del Verona) dopo nemmeno un quarto d’ora. Tammy è uscito con la borsa del ghiaccio sullo zigomo sinistro e parecchia paura per le prossime gare. Al suo posto Belotti, come sempre generoso e un po’ sfortunato quando nel finale, con una grande parata, Montipò gli ha negato il gol del 2-0
Cristante è stato il migliore in campo, proteggendo la difesa e conquistando palloni su palloni. Bove ha marcato Tameze, la fonte del gioco veronese. El Shaarawy e Spinazzola hanno sviluppato il gioco a sinistra, dove la Roma ha attaccato di più. Il protagonista a sorpresa, però, è stato Solbakken.
Il norvegese, che fin qui aveva giocato pochissimo, ha segnato il gol decisivo alla sua prima da titolare, dimostrando di essere un esterno d’attacco capace di segnare con più frequenza di Zaniolo: 13 in 63 partite nel campionato di casa con il Bodo, 7 compresi i preliminari in Conference League nella scorsa stagione (3 proprio contro la Roma). I veleni degli striscioni prima rubati e poi bruciati dagli ultrà della Stella Rossa Belgrado — gemellati con il Napoli — sono ritornati con il solito odioso coro “Lavali col fuoco”.
FONTE: Il Corriere della Sera – L. Valdiserri