Nel 2006 l’amico Saverio Simonelli pubblica il suo libro Vivo di Roma e per presentarlo invita Giacomo Losi con cui realizza una conversazione che ancora ricordo per la struggente dolcezza, la raffinata umanità. Anche perché, Saverio lo ha ricordato domenica 4 febbraio in occasione della sua morte: «Losi aveva quel sorriso che lo ha accompagnato per tutta la vita e… oltre».
Nato a Soncino, in provincia di Cremona, 88 anni fa, Giacomino Losi ha militato nella squadra di calcio della Roma tra gli anni ‘50 e i ‘60, per quasi tutta la sua carriera professionistica (quindici stagioni), al punto da essere stato soprannominato, anche per la generosità in campo, Core de Roma. Cresciuto in una famiglia di lavoratori antifascisti, da bambino assiste alla seconda guerra mondiale e partecipa indirettamente alla Resistenza trasportando le munizioni che i partigiani usavano contro i nazifascisti.
Ma di questo non parlò in quella conversazione di 18 anni fa, parlò invece di calcio, di quando dovette marcare campioni come Di Stefano o Pelè («mi fece una finta che ancora lo sto cercando») e di quel mondo lì, oggi così lontano. Ricordo in particolare due passaggi: il primo era sul fatto che “all’epoca” ai calciatori veniva data una maglietta, una sola, che bisognava lavare, a casa, dopo ogni partita per essere pronta e pulita per la sfida successiva.
E poi il secondo, degno di un film di Olmi o Fellini: «Ero un ragazzo del Nord, di un piccolo paese della pianura padana e quando arrivai a Roma non stavo nella pelle, mi sembrava tutto così grande, il mio hobby preferito era andare alla stazione Termini e vedere i treni partire e arrivare». Poesia, lacrime, applausi. O, se vogliamo, gioco, set, partita: hai vinto Core de Roma, e un cuore così, non muore neanche quando si ferma.
FONTE: L’Osservatore Romano – A. Monda