Due terzi di Roma, uno di Lazio e anche questo derby è servito: un cocktail forte e alcolico, ma di poco gioco, superiorità fin troppo distribuite, scorrettezze, provocazioni e qualche evitabile carezza all’avversario. Alla fine Guida ha estratto otto gialli, nove con quello a De Rossi. Quattro falli punibili li ha perdonati e insomma ha avuto ciò che si aspettava ma non ha convinto del tutto. Come ha giustamente rilevato il nostro Pinna la partita, più che dirigerla, l’ha accompagnata.
La prima ora è stata tutta della squadra di De Rossi, da subito più presente e lucida; quasi sempre in ritardo la Lazio con la sola eccezione di Gila. Nell’ultima mezz’ora è invece uscita la formazione “corretta” in corsa da Tudor, al quale hanno giovato gli ingressi di Castellanos e Pedro, quest’ultimo ha una notevole familiarità con le stracittadine e cela deve mostrare ogni volta.
Turbolenze a parte, il derby della capitale è diventato il paradiso, o l’inferno, del calcio sporco e del corto muso: nelle ultime cinque occasioni quattro volte è bastato un solo gol per deciderlo e quando non si è segnato ha vinto largamente la tristezza.
De Rossi si è preso il primo da allenatore interrompendo la fortunata serie di Sarri. A Lecce aveva chiaramente preparato questa uscita e la prossima, a San Siro, impiegando tutti insieme Karsdorp, Angelino, Bove, Zalewski e Baldanzi e inserendo Aouar e Huijsen e il risultato – poco brillante s’era notato.
Da programma ha così puntato sui titolarissimi, accentrando Dybala, libero di seguire il proprio istinto, e liberando Celik a destra: il turco ha evidenti limiti tecnici, si salva col temperamento, lo preferisco Karsdorp.
PS. L’esultanza di Daniele ha ricordato quelle di un altro allenatore particolarmente centrato, empatico, coinvolto e coinvolgente: quando si apre il rubinetto dei sentimenti, l’acqua sgorga.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni