Non c’è niente di più indecifrabile, di imprevedibile, del calcio. Un pallone che rimbalza, insieme a umori spesso volubili, un mondo in cui – insieme ai risultati – si incrociano destini, storie, personaggi, gioie e amarezze. Un gioco di specchi, in cui fatichi a riconoscerti, in cui cominci a sospettare di te stesso, oppure a scoprire una parte – sempre di te stesso – che non pensavi di conoscere.
Nella Capitale, perché è di questo che stiamo parlando, tre mesi fa si respiravano entusiasmi e preoccupazioni a due velocità. Da una parte la Roma di De Rossi e l’ottimismo contagioso di un ambiente che faticava a tenere il conto in un mercato – 120 milioni o giù di li – da far invidia a mezza Europa; dall’altra, la Lazio di Baroni costretta invece a tamponare le partenze – in alcuni casi laceranti – di campioni e beniamini.
Da una parte le adunate all’aeroporto per accogliere Soulé, e non solo, perché devi fare immediatamente marcia indietro e andare a conoscere anche Dovbyk; dall’altra un silenzio pieno di amarezza, un abbraccio e un singhiozzo, nel vedere – dopo Luis Alberto e Felipe Anderson – anche Immobile con le sue valigie, cariche di gol, trasferirsi a Istanbul. (…)
Roma e Lazio hanno finito – ognuno modo suo – per sorprendere. Così c’è chi fatica a riconoscere Soulé e sta lì a chiedersi se quel pesante investimento abbia avuto davvero un senso, tecnico e patrimoniale. Magari ci facessimo la metà dei soldi spesi, arriva a chiedersi qualcuno. Parole piene di sconforto, e gonfie di amarezza, al confronto della legittima soddisfazione di Lotito. Che ha un’idea precisa su Tavares. «Non lo venderei neppure per una settantina di milioni». Un’esagerazione, forse. Ma sicuramente un applauso implicito, e più che meritato, al ds Fabiani, capace di portarlo nella Capitale tra l’indifferenza e lo scetticismo generale. Perché, diciamolo, solo lui sapeva evidentemente quanto fosse forte il portoghese. Finora l’assoluta rivelazione dell’intero campionato. Un formidabile incursore, capace di difendere, autolanciarsi, travolgere chiunque, per poi pennellare favolosi assist.
(…) Mentre la Roma, ed è chiaro il paradosso, in tutto questo tempo non ha fatto altro che interrogarsi, e chiedersi, se Soulé e Dybala potessero giocare insieme. Invece di capire che tutto è possibile se undici ci mettono la stessa voglia, dimostrando lo stesso spirito di appartenenza. Condivisione Già, perché, in fondo, la vera differenza è tutta li. (…)
FONTE: La Gazzetta dello Sport