Il tramonto di un’idea intrigante viene annunciato all’alba di un giorno uggioso: Daniele De Rossi esonerato. Bum. Nuovo cinema Friedkin. Era successo all’improvviso anche con Mourinho, in una fredda mattina di gennaio: goodbye José. E sbrigati, anche. Stavolta però la svolta è addirittura paradossale, dopo quattro giornate di campionato e un contratto di tre anni da dieci milioni firmato.
Arriva Ivan Juric, senza panchina dopo il triennio altalenante al Torino. Sulla decisione, che è stata «adottata nell’interesse della squadra», pesano tanti elementi. A Trigoria dicono che il principale sia la paura: tre punti in classifica, con una squadra costruita per tornare in Champions League, sono un pendio pericoloso se si uniscono i puntini con le ultime settimane della scorsa stagione. Ma può essere solo questo?
Non andremo dietro a tutte le voci che abbiamo ascoltato negli ultimi tempi. Dal caso Dybala in poi. Certamente se la Roma avesse vinto almeno un paio di partite, o forse solo quella di Genova che è sfumata al minuto 96, la situazione non sarebbe precipitata. Ma è evidente che all’interno, tra dirigenza e staff tecnico, fosse venuta meno la fiducia sotto diversi punti di vista. I Friedkin – più il presidente Dan di Ryan – hanno ascoltato le relazioni di Lina Souloukou e hanno ritenuto di intervenire subito.
Un anno fa, guarda caso sempre a settembre e sempre dopo una partita contro il Genoa a Marassi, avevano deciso di licenziare Mourinho ma si erano lasciati convincere a soprassedere, tentennando fino alla ventesima giornata di campionato. Stavolta hanno preferito non perdere tempo. Era questo il motivo del loro viaggio italiano: discutere con la dirigenza del futuro dell’allenatore (e non solo) ed eventualmente ordinare la svolta, che poi è maturata martedì sera.
La notizia è stata comunicata all’interessato di prima mattina, intorno alle 8, quando De Rossi stava già preparando insieme allo staff la seduta di allenamento. Daniele aveva intuito da qualche giorno che l’aria non fosse più così salubre ma non si aspettava di essere sollevato subito dall’incarico. Lo avrebbe compreso di più dopo la sconfitta contro l’Empoli all’Olimpico. Ad ogni modo De Rossi ha ritirato velocemente le sue cose e ha lasciato il centro sportivo dopo aver abbracciato calorosamente i dipendenti e il direttore sportivo Ghisolfi, che in questa vicenda non ha avuto alcun ruolo.
«Stavolta alla Roma non torno più…» si è lasciato sfuggire, commosso. All’uscita ha trovato qualche tifoso che gli ha chiesto foto e autografi e l’ha incoraggiato. Ha sorriso con grande attenzione verso la sua gente, anche se non vedeva l’ora di tornare a casa per riflettere su quanto accaduto osservando Castel Sant’Angelo. A pranzo poi ha radunato il suo staff in un ristorante di Piazza del Fico, dietro Piazza Navona, pochi minuti a piedi dal suo appartamento. E’ molto provato, chiaramente, ma non sente di doversi rimproverare più di tanto: ha dato alla Roma tutto quello che aveva, con la convinzione di essersi meritato sul campo la possibilità di guidarla. Adesso partirà per una vacanza, per staccare.
La storia dice che le sue prime esperienze in panchina sono finite con altrettanti esoneri. Ma questo francamente non sfregia la sua immagine di allenatore. Tanto è vero che tanti uomini di calcio, in pubblico e in privato, gli hanno manifestato solidarietà e supporto. La sua avventura alla Roma si chiude dopo 30 partite: 22 di campionato e 8 di Europa League. Il momento più bello è stato la qualificazione alla semifinale di Europa League dopo le splendide vittorie contro il Milan di Pioli, che la Roma aveva contattato come prima scelta (non l’unica) per poi virare su Juric.
La media-punti (1,70) è stata ritenuta insufficiente dai Friedkin per continuare insieme un percorso che doveva durare a lungo. De Rossi dovrà dunque riprendere altrove la carriera che ha scelto. L’ultima beffa? Se allenerà in Italia, ricomincerà da squalificato. La sua ultima immagine rimarrà quella corsa veloce negli spogliatoi dopo l’espulsione di Genova. Comunque la si pensi sul suo operato, un personaggio così amato avrebbe meritato un addio più onorevole. Ma ai Friedkin questo aspetto non interessa.
FONTE: Il Corriere dello Sport – J. Aliprandi / R. Maida