La radiocronaca è appena terminata. Mi tolgo le cuffie e rimango basito spettatore di quello che si manifesta davanti ai miei occhi. Vedo le facce stravolte dei giocatori giallorossi fissare il vuoto, nella direzione di un settore ospiti giallorosso gremito come se a Verona fossimo andati per agganciare il Napoli in testa alla classifica. Alla mia sinistra i soliti moderati tifosi veronesi, che vivono la partita guardando costantemente verso la tribuna stampa “a caccia” del cronista romano, fanno festa rivolgendomi epiteti e gestualità poco eleganti (eufemismo): un signore espone addirittura un foglio con sopra scritto “SIMMIE”. (…)
Davanti a me prende forma il senso più profondo di un graduale scivolamento verso il basso, l’impotenza tecnica e tattica di fare la voce grossa contro chiunque, una pallina di modeste dimensioni partita in cima ad agosto che a novembre, quasi a valle, ha assunto i contorni di una valanga, in grado di spazzar via entusiasmo, armonia e valori tecnici. La festa del Verona sotto la loro curva chiude il triste pomeriggio al Bentegodi. (…)
Il ballonzolante ascensore mi porta al piano terra, a pochi metri dall’intima sala dove si tengono le conferenze stampa. Tre-quattro file di sedie, la prima vicinissima al tavolo dove siederanno gli allenatori. E lì mi rendo conto del distacco emotivo, ma non solo, che in questo momento separa la Roma (società e componenti) dal suo popolo.
Perché dopo un’analisi (mi perdonerà mister Juric) davvero poco condivisibile di quanto visto in campo, il tecnico croato si è lasciato andare ad un attimo di leggerezza, un sorriso è comparso dal nulla sul suo volto parlando di Verona: “Questa è casa mia. Quando dico che vado a casa, io torno a Verona. Questa è la città con cui ho legato di più. E Zanetti è un allenatore bravissimo, che mi piace moltissimo”. La conferenza stampa finisce dopo altre analisi, Juric si alza e viene raggiunto da molti cronisti locali: “Ciao mister, è stato bello rivederti”. Abbracci, sorrisi e saluti. (…)
Lo seguo con lo sguardo, incredulo di quanto abbia appena visto e sentito. La Roma ha appena perso con il Verona, incassando tre gol dalla peggior difesa del campionato, “portandosi” a soli 5 punti dalla zona retrocessione, venendo ancora una volta penalizzata da una decisione arbitrale inconcepibile.
Eppure non c’è traccia di un dirigente e il suo allenatore guarda al futuro con fiducia, regalandosi l’unico sorriso del pomeriggio parlando con nostalgia del Verona, della “sua” Verona. Non può essere vero, ma è la fredda cronaca. Fisso la porta, spero che di lì a poco appaia qualcuno, a comunicarci qualcosa, a darci un segnale di presenza. Nulla.
Con la coda dell’occhio per un attimo credo di aver visto il fantasma di José Mourinho, ma era solo un cronista veronese con i capelli bianchi. Penso a cosa avrebbe detto e fatto lo Special One dopo una serata simile, ricordando la sua panchina “vibrante e indisciplinata” che si batteva per il bene della Roma.
E permettetemi di dire che l’unica cosa romanista che ho visto al Bentegodi è stata la rabbia del match analyst Salzarulo, che a fine primo tempo ha mostrato con il suo pc prima al quarto uomo Marchetti e poi all’arbitro Marcenaro la gomitata di Magnani sul volto di Ndicka. Ha protestato, ha alzato la voce e si è preso il rosso. (…)
FONTE: Il Romanista – A. Di Carlo