Perché offrire un contratto di due o tre anni, o – come nel caso di Juric – nove mesi, se ad ogni partita l’allenatore rischia il licenziamento? Si può ancora parlare di programmazione tecnica e futuro quando un solo risultato negativo e i malumori della piazza finiscono per condizionare pesantemente le decisioni della proprietà?
Non ci crederete ma ieri, verso le due del pomeriggio, a Roma è ripartito il tam tam “De Rossi torna alla Roma”. I più eccentrici sono arrivati addirittura a ipotizzare l’arrivo di Klopp (…). E questo nonostante Juric abbia raccolto sette punti in tre partite, perdendo l’ottavo e il nono per una topica del Var. E – aggiungo -, mentre Daniele stava andando a Viareggio per raggiungere i compagni del Mondiale 2006 e fare una sorpresona a Marcello Lippi.
Proprio De Rossi rappresenta il caso più eclatante di sputtanamento artistico di un accordo di lunga durata: il 25 giugno scorso i Friedkin gli rinnovarono il contratto fino a giugno 2027, garantendo 3,2 milioni a stagione, e dopo 4-partite-4, peraltro senza il mercato in campo, l’hanno silurato sulla base di un report non particolarmente corretto, né puntuale: la fiducia è l’unico regalo che non si riceve due volte.
Si può vivere così in panchina? Ivan “Schiaccio con macchina” Juric potrà mai lavorare con quel minimo di serenità conquistata sul campo? Possono bastare le rassicurazioni di Ghisolfi per frenare il flusso di voci e cazzate? Non è difficile immaginare che se domenica avesse perso a Monza oggi sarebbe dalle parti di Nervi o in Croazia.
E questo per quanto riguarda Juric, 348 panchine in carriera. Ma vogliamo parlare di Fonseca? Approdato al Milan dopo che Lopetegui era stato cassato dalla tifoseria e Allegri non aveva più sentito Cardinale, il portoghese ha mostrato nelle settimane più complicate il volto delle migliori occasioni, confermando di possedere una grande signorilità, oltre a una società fragile alle spalle, troppo fragile e poco centrata.
Non è sufficiente confermare a parole un professionista nel momento in cui viene attaccato da ogni parte: servono una comunicazione efficace e un’assunzione di responsabilità assai prossima alla condivisione delle stesse.
Trascuro i confronti che ci accompagneranno tutta la stagione: Motta-Allegri, Italiano-Motta, Fonseca-Pioli, Baroni-Sarri. Anche questi improbabili: le campagne acquisti modificano sostanzialmente la struttura delle squadre. Fanno tuttavia parte del gioco (al massacro) e non sono eliminabili.
L’Italia è calcisticamente un Paese i cui disturbi dell’umore sono, come detto, collegati al risultati: i media hanno le loro colpe, l’esplosione della rete ha aggravato la situazione, al punto che ci sono manager che passano le giornate sui social per prendere la temperatura al tifoso.
Il problema principale è – lo ripeto ormai da anni – proprio lo scadimento della qualità dei dirigenti, da questo punto di vista la moltiplicazione delle proprietà straniere ha peggiorato sensibilmente le cose.
Oggi Galliani e, su piani differenti, Corvino sono fenomeni paranormali in grado di fare tre giri attorno a qualsiasi dirigente algoritmico, e anche per questo Beppe Marotta, con i suoi 40 anni di esperienza ad ogni livello, è capace di vincere, ripetersi e uscire intonso da qualsiasi situazione, anche la più scabrosa.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni