La più grande forza di Daniele De Rossi? Non saper mentire a se stesso. La sua più grande debolezza? Non saper mentire a se stesso. Essere tifoso della squadra che allena è ciò che ne fa un guerriero, ma è la cosa che lo rende vulnerabile.
Alla vigilia del suo primo derby da allenatore il ragazzo di Ostia ha mostrato in conferenza stampa dominio delle parole e controllo delle emozioni. Semplice e diretto (“Se giochi vent’anni in un posto non puoi avere solo bei ricordi“. Applausi). Attento a sdrammatizzare, ma ancora più attento a non banalizzare (“Il derby non ha mai conseguenze normali“. Impeccabile).
Il suo sintomo è il derby. Forse più di qualunque altro tifoso al mondo, quello romanista vive male il derby. Il derby è malessere. Lo vive come una fastidiosa dissenteria. L’importante è contenere i danni e che passi in fretta. L’idea prevalente è che questa partita sarebbe meglio cancellarla dal calendario.
Il ragazzo di Ostia ha vissuto il derby da tutte le prospettive. Ha provato ad esorcizzarlo da bambino, da giovane e da anziano, da giocatore e da tifoso, alla tivù di casa o truccato da ultrà in curva Sud e ora da allenatore che ha appena cominciato e già gli fanno con il ditino carnefice: “Occhio che domani ti giochi tutto“, tanto per non mettergli pressione.
L’ha giocato in ogni modo e l’ha sempre sofferto. Nelle partire perse, quelle non giocate, quelle giocate ma come se non fossero mai state giocate (“fisicamente presente in campo, in realtà assente“). Lo giocherà oggi. Non ci si libera del proprio sintomo. Non ci si libera del proprio destino. Non ci si libera dei derby.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – G. Dotto