Il tripudio finale dell’Olimpico, una liberazione. Per De Rossi, che esplode solo al fischio finale, coperto dagli abbracci dei suoi collaboratori, e per la squadra, che ha messo la convinzione giusta per vincere un derby. Per la superiorità ribadita in una partita sofferta mai nel gioco, ma solo per il risultato corto, oltre modo e senza motivo, e anzi legittimata. Contro un avversario, in campo e sugli spalti, stavolta davvero svuotato, inesistente. «Roma ha vinto», urla alla fine lo speaker dello stadio.
Su tutta la linea. Tutti sotto la curva, per tre punti che valgono doppio in un derby. Con De Rossi che fa «finta» di tenersi e va negli spogliatoi mentre la squadra corre a ringraziare il pubblico e poi, quando i ragazzi decidono di tornare in campo sotto la curva dai ragazzi della Sud che non hanno mai smesso di cantare, viene trascinato a esultare. Con Mancini mattatore, goleador, che urla «Forza Roma» in tv alla fine dell’intervista e, da sbandieratore, fa discutere per l’immagine animalista di una creatura di Dio sui colori bianco e celeste.
Mancio che, comunque, chiede anche scusa a fine gara per l’esultanza esageratamente goliardica.Fin troppo signore, sor Gianluca, sicuramente più di Radu che, quando di rado vinceva, insultava la Roma sotto la Nord (disclaimer: basta avere Youtube), che ha anche il merito di risvegliare i perbenisti quando je pare e dalle orecchie troppo spesso otturate, tanto da non sentire i soliti e reiterati cori antisemiti e i buu razzisti a Lukaku del settore ospiti dell’Olimpico. Gli stessi perbenisti che non hanno chiesto le scuse, in occasione di Roma-Inter, per il dito medio di Acerbi, lo stesso, poi, che avrebbe detto a Juan Jesus la “tipica” frase di campo: «Ti faccio nero!». Pietà.
A Roma si dice, statece. Gode la città, per una serata che nei derby mancava da troppo tempo e che è arrivata ad accarezzare soprattutto un pubblico magnifico, il pubblico dei sold out: 64.513 il totale degli spettatori. Pienone, ancora una volta, sicuramente per quanto riguarda la parte romanista.
Uno stadio carico per il periodo di forcing da calendario. Una coreografia lungo tutta la Tevere, con un grande Ago (Di Bartolomei) che lancia un pallone infuocato di giallorosso verso la Nord ha la “precedenza”. «Figli di Roma, Capitani e Bandiere».
La Sud e la Roma ricordano il grande Capitano del secondo scudetto in prossimità del suo compleanno, l’8 aprile. Da Di Bartolomei (avvistata anche la banidera con Astutillo Malgioglio) a De Rossi, chiamato a gran voce dallo stadio alla lettura delle formazioni e prima degli inni gridati a squarciagola dai romanisti sugli spalti.
Poi gli ospiti espongono i loro cartoncini bianco-blu con una grande scritta «SS Lazio». Ne parliamo solo perché la Sud aveva la risposta già pronta (magari per qualche fuga di notizie). «Finalmente hai scritto Lazio, hai capito che con Roma non c’entri un c…», prima di esporre i colori e il simbolo della città su sfondo giallorosso con la frase che DDR indossava ogni partita sulla sua fascia: «Sei tu l’unica mia sposa, sei tu l’unico mio amor». (…)
FONTE: Il Romanista – G. Fasan