Se qualcuno si aspetta da Ramon Monchi il classico dente avvelenato dell’ex nei confronti della Roma, è completamente fuori strada. Più di qualche incomprensione, certamente, c’è stata. Molti errori, dai quali non svicola, ma anche tanti ricordi piacevoli.
Prima o poi doveva capitare d’incrociarvi nuovamente, non trova? “Eh sì, felice che accada in una finale. Se mi avessero chiesto con chi avrei voluto giocare questa gara, non avrei avuto dubbi. Avrei detto la Roma”
Voglia di rivalsa? “Ma no, ci sono stati tanti momenti belli. Ho provato a fare il meglio possibile ma è vero che ho sbagliato. Non ho avuto mai problemi ad ammettere i miei errori ma bisogna anche capire i contesti. In questa stagione ho sbagliato anche a Siviglia, ma in Andalusia ho dalla mia una storia di 24 anni con 19 finali e 10 trofei che mi fanno uscire tranquillo la sera quando devo portare i miei due cani a fare un giro. Qui mi aspettano, a Roma no. Non ho avuto il tempo per correggere i miei errori. Quando sono arrivato la gente pensava che oltre a prendere i calciatori avrei segnato e parato i rigori… Ma la responsabilità è mia. Guardando indietro ci sarebbero tante cose che non farei più”.
Ad esempio acquistare Pastore? “No, non è giusto parlare dei singoli. Sembra che voglio trovare delle giustificazioni. Con lui ho sbagliato, punto. Ma il grande errore è stato quello che dovevo capire meglio cosa era la Roma. Cosa rappresenta per la città, i tifosi e la stampa. E quando l’ho capito era tardi”.
Quando andò via disse che non aveva potuto fare il Monchi. Cosa intendeva? “Semplice, non ero me stesso. Mi è mancata la conoscenza, come le dicevo prima. La responsabilità per il 95% è mia”.
L’hanno ferita le critiche di Pallotta che le ha addossato i problemi economici che il club ha poi avuto? “Ognuno è libero di dire quello che vuole. Posso essere soltanto grato a Pallotta per avermi scelto e portato a Roma. Poi il mio percorso nel calcio, compreso quello da calciatore, è fatto di 37 anni e chiunque può farsi un’idea. Buona o cattiva che sia, non importa. Posso però assicurare che ho sempre lavorato con onestà. Per me dormire tranquillo la notte è la cosa più importante”.
Il rapporto con Totti? “Di Francesco calciatore ho conosciuto gli ultimi due mesi dove mi avete detto che lo avevo ghigliottinato (sorride). E da dirigente mi ha aiutato tanto”.
Le cose positive che invece ritiene di aver lasciato? “Mi fa piacere ricordare Pellegrini, si merita tutto quello che gli sta accadendo. A Roma c’è stata una prima stagione dove è andato tutto bene con il terzo posto e la semifinale di Champions. Quando rimontammo il Barça tornai a casa alle 2 di notte e c’era gente che mi aspettava per festeggiare. Nella seconda non ha funzionato nulla”.
Ha citato Pellegrini. Sorpreso dalla cessione di Zaniolo? “A me sembra un calciatore fortissimo ma non posso giudicare la scelta di venderlo. Se è stato vicino al Siviglia? No, non abbiamo questa forza economica”.
Quest’anno ha cambiato tre tecnici. Cosa è accaduto? “All’inizio abbiamo deciso di continuare con Lopetegui perché le tre qualificazioni consecutive alla Champions ci hanno fatto pensare che il percorso potesse continuare. Quando ci siamo resi conto che non era così abbiamo scelto Sampaoli. Il suo problema è che continuava a guardare sopra in classifica anziché sotto. Quando ci siamo trovati penultimi Mendilibar è stata la persona giusta al momento giusto. Pragmatico, realista, ha capito la situazione. E siamo rinati”.
A Roma è veramente così difficile lavorare? “La Roma è un grande club e in tutte le grandi società hai poco tempo. È questa la difficoltà maggiore, nessuno ti aspetta”.
L’ex ds Sabatini parlava di tre centri di potere: Roma, Boston e Londra. Era realmente così? “Sarebbe semplice dire che non mi hanno lasciato lavorare. Non è vero. Non posso dire nulla, né di Baldini, né di Pallotta, tantomeno di Baldissoni e Fienga”.
Il suo addio dipese dall’esonero di Di Francesco? “No, ormai il rapporto con la proprietà era deteriorato. Pensavo fosse giusto continuare con lui dopo che gli avevamo venduto Salah, Rudiger, Alisson, Paredes e Mario Rui”.
A proposito di allenatori, che ne pensa di Mourinho? “José è un allenatore top, quindi è adatto ad un top club come la Roma. E la vittoria della Conference lo conferma”.
Come può il Siviglia mettere in difficoltà la Roma? “Oggi tutti conoscono tutti. Si vedono migliaia di partite, si analizzano migliaia di dati. Dopo tanti anni e sei finali vinte, posso dire che l’importante è che il Siviglia faccia il Siviglia, al di là della Roma, per la quale nutriamo un grandissimo rispetto. Abbiamo vinto con la Juventus perché non ci siamo snaturati e così contro il Manchester United. Dobbiamo essere quelli degli ultimi due mesi”.
La chiave tattica di mercoledì a Budapest potrebbe essere la Roma che aspetta e voi che fate la partita? “Se guardiamo le ultime gare sembra così. Ma attenzione, perché anche noi sappiamo aspettare. Non vorrei che alla fine la palla restasse nei piedi dell’arbitro (ride)”.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina