Quando l’Uefa, nella primavera del 2019, escluse il Chelsea dalle due successive sessioni di mercato per alcune irregolarità nel tesseramento di giocatori minorenni, Roman Abramovich dettò al suo nuovo allenatore, Frank Lampard, una strategia molto precisa: utilizzare la squalifica per testare a fondo, con una stagione di Premier League, i ragazzi dell’academy mandati in giro a farsi un curriculum.
Lampard aveva appena perso il playoff per la Premier: il suo Derby County, guidato dal prestito Chelsea Mason Mount, era stato sconfitto 2-1 dall’Aston Villa, guidato dal prestito Chelsea Tammy Abraham. Venticinque gol aveva segnato quell’anno, Tammy. Lampard ne ordinò il rientro alla base con Mount e Tomori (anche lui in prestito al Derby) e il baby Chelsea senza mercato quell’anno corse a perdifiato fino a un insperato quarto posto. Abraham giocò 34 partite segnando 15 gol.
José Mourinho l’aveva ben presente dai tempi del suo secondo passaggio al Chelsea (2013-2015), quando al centro sportivo di Cobham gli capitava di sbirciare le formazioni giovanili, e soprattutto il centravanti della Under 18. Di Tammy lo colpiva l’abilità innata nell’attaccare lo spazio, requisito fondamentale per giocare con lui.
Nell’estate che più di ogni altra ha assistito al depauperamento della serie A, Abraham è uno dei rari segnali in controtendenza, talento in entrata anziché in uscita. E poi, non sfugga la circostanza che Abraham è stato preso una volta che Edin Dzeko aveva liberato l’armadietto per passare all’Inter. Lui se n’è andato praticamente gratis, l’inglese è stato pagato più di 40 milioni, e dunque il problema non erano i soldi.
Nel 1999 Franco Sensi portò alla Roma Fabio Capello, che in carriera aveva già vinto quattro scudetti col Milan e una Liga col Real Madrid. Come raccontano i giocatori dell’epoca, il semplice ingaggio di un tecnico così medagliato infuse al gruppo la motivazione di un facile sillogismo: se hanno preso lui, vuol dire che facciamo sul serio.
L’operazione Mourinho ha molti punti in contatto con quella di ventidue anni fa, perché rianima un ambiente depresso dopo il peggior risultato degli ultimi nove anni – Roma settima a 62 punti – e fa scattare il sillogismo che attira gli Abraham e trattiene i Pellegrini. La stessa partecipazione alla neonata Conference League, che va confermata contro il non banale Trabzonspor tra domani sera e la prossima settimana, suona come un’opportunità per andare a caccia di un “titulo” fin da questa stagione, mentre la zona Champions è l’ovvio obiettivo di campionato.
Storicamente l’enorme personalità del tecnico portoghese funziona assai bene con giocatori maturi, da Drogba e Terry a Cambiasso e Milito, da Ronaldo e Sergio Ramos a Ibra e Hazard. Stavolta invece la sua missione chiave riguarda un 22enne, Nicolò Zaniolo, già transitato per due infortuni di estrema gravità. Mourinho con i giovani a volte fatica, non ne capisce gli atteggiamenti svagati, con Pogba a Manchester sono state discussioni una via l’altra. Su Zaniolo, un altro che usa il suo tempo libero senza pensarci troppo, Mou si gioca la patente di “genitore” moderno: al caso, si faccia aiutare dai figli.
C’è molta gente affamata, in questa Roma. Abraham e Zaniolo vogliono imporsi, Pellegrini aspira alla laurea da capitano dopo essersi perso per infortunio la grande occasione europea, Mancini deve recuperare la Nazionale per i Mondiali, Cristante deve conservarla, Spinazzola – ah, Spinazzola – deve farsi rivedere. Ultime due segnalazioni: Villar è un regista arretrato più da Pep che da Mou, ma avercene, e la conduzione dritto per dritto di Eldor Shomurodov potrebbe rivelarsi una chiamata geniale.
FONTE: La Repubblica – P. Condò