Nella lunga one to one con , Mourinho racconta tutte le sue verità: il rapporto con i Friedkin e Pinto, quello con i tifosi, le sue idee sul mercato. E spiega soprattutto cosa è successo davvero nella notte di Budapest.
“Firmai per la Roma perché quando incontrai i Friedkin mi piacque molto il loro modo di parlare. Quelle parole mi toccarono nel profondo, di questo avevo bisogno. “Pensiamo che tu sia la persona giusta per aiutarci a rendere la Roma un club più grande”, aggiunsero. Trasmisero il loro entusiasmo, mi piacque la prospettiva di un progetto diverso, tre anni di contratto, una crescita progressiva, qualcosa che in precedenza non avevo mai preso in considerazione”.
Spiegati meglio… “Ad esempio, i tanti giovani, che ho fatto esordire, giovani che con me sono cresciuti in questi due anni. Quando lavori in un club come il Real Madrid, il Manchester, il Chelsea, se lanci un giovane a stagione hai già fatto il massimo. In questa fase della carriera avevo bisogno di stabilità, sentivo che qualcosa in me era cambiato. Prima volevo e dovevo arrivare, fare, spostarmi, vivevo uno stato di costante irrequietezza. Ero in un posto, facevo il mio lavoro, vincevo e mi spingevo oltre, volevo andare a vincere da un’altra parte”.
Ha rischiato parecchio, però. I paletti del Financial Falr Play, il mercato a zero, la condanna ad adattarti all’emergenza. Anche questa è la Roma oggi… “Real, Inter, United, Chelsea due volte, a quei livelli il profilo è molto, molto chiaro. Gli investimenti, la storia del club, gli obiettivi tutti altissimi: arrivi per vincere e vincere subito. Quando ho firmato con la Roma sapevo perfettamente a cosa andavo incontro”.
Fatico a crederti… “Devi farlo. Ovviamente per me tornare in Italia non significava andare incontro all’ignoto, questo è un Paese che conosco bene a livello culturale, storico e sportivo. Sapevo che sul piano sociale la Roma era un club assolutamente fantastico, ma anche che dal punto di vista della storia calcistica aveva vinto poco, nonostante tantissimi bravi allenatori e tantissimi giocatori di prima fascia, e investimenti anche. Quando conosci la realtà romanista ti chiedi perché si sia vinto così poco. Possibile che tu non possa fare qualcosa di diverso per aiutare il club, la nuova proprietà? Se adesso mi domandi se sono pentito della scelta, rispondo di no. Assolutamente no”.
Beh, in questi due anni qualche attimo di sconforto l’hai vissuto… “Frustrazione si, momenti di frustrazione”.
Nel secondo anno le cose sono peraltro peggiorate, in termini di risorse a disposizione… “Il primo anno conoscevo la situazione, percepivo la voglia della proprietà di crescere e ho pensato: ok, questo è perfetto per me. Un profilo come Il mio, uno che ha vinto tanto, di solito non accetta facilmente un progetto potenzialmente minore. Mi viene in mente solo Ancelotti all’Everton”.
E prima ancora al Napoli… “Quando uno come noi accetta questo rischio, la gente pensa “è finito”, poi Carlo va al Real Madrid e vince rutto quello che c’era da vincere. Questa esperienza a Roma è stimolante, ricca, di una ricchezza su più piani. Oggi ho un rapporto con i miei giocatori che non è facile instaurare in un top club”
C’è chi pensa che tu abbia accettato la Roma soltanto perché, dopo tutte le esperienze fatte, ti sei ritrovato un mercato ristretto… “Non è una mia preoccupazione”.
Cosa ti preoccupa allora? “La mia felicità. Qualche giorno fa commentavo col tavolo dei miei a Trigoria una delle prime cose che il Papa ha detto a Lisbona. “Dovete ridere, dovete scherzare, pensare positivo, dovete coltivare il sanse of humour”. Il mio tavolo ha tutto questo”.
Ecco spiegato l’abbraccio al centravanti immaginario… “Anche, a volte leggo che Mourinho sta provocando la società, che Mourinho è un mago della comunicazione”.
Non mi dirai che non è vero… “Ripensi che io stia scherzando, ma Nuno, che è qui con noi, sa bene come stanno le cose, i piedi incrociati sul tavolo li metto venti volte al giorno”.
Sì, però l’estate scorsa avevi il computer spento davanti ai piedi stavi sottolineando l’impossibilità di fare acquisti… “In seguito però non c’è stato alcun retro pensiero. La foto con l’attaccante immaginario è stata fatta per ridere”.
Ridere per non incazzarsi… “Nelle ultime settimane ho visto allenatori in fibrillazione, uno che minaccia di andar via perché non è contento del mercato, un altro che se ne va per la stessa ragione. Ce n’è un terzo che scherza con i tifosi e dice che non stiamo facendo mercato. Nessuna provocazione, non era quella l’intenzione”.
Per cui, va tutto bene… “Non va tutto bene, ma mi diverto anche nelle difficoltà. Mi arrabbio per un’ora e subito dopo torno positivo. Non mi deprimo, non minaccio, non dico che mi hanno promesso mari e monti e non vedo né i mari né i monti. Una cosa che non posso cambiare è la mia natura, non sono uno che racconta cazzate. Relativamente all’attaccante immaginario, posso dirti che anche se la settimana prossima arrivasse Mbappé sarebbe comunque in ritardo”.
Sai come si dice a Roma? Dormi tranquillo, José… “Questo per dire che dopo 28 giorni di lavoro, 31 allenamenti e 6 partite, in tutto 37 sedute, più riunioni di analisi tattica e altro, non avere un attaccante è un problema. A proposito, non fate casino con Belotti, resta e farà una stagione molto più produttiva”.
L’hai voluto tuo Pinto? “Io, sì io. Però…”.
Però? “Dopo la partenza, tra virgolette, di Tammy, siamo in una situazione che nessun allenatore al mondo gradirebbe. Mi riesce impossibile dire che sono contento. Però sostenere che sono in guerra aperta con la società, con Pinto, che non sono felice, è sbagliatissimo. Pinto sa che siamo in ritardo, anche la proprietà lo sa, alla fine quello che soffre veramente è chi lavora e chi contro la Salernitana dovrà entrare in campo con la miglior squadra possibile. Incazzato no, depresso no. Scherzo, come vuole il Papa, soprattutto nelle difficoltà, lui ripete che le difficoltà fanno parte della vita, senza le difficoltà è più difficile provare grandi gioie. Vent’anni fa avrei fatto casino, vent’anni fa sarei stato incazzato». «Dal mio primo Chelsea» prose-gue «me ne andai perché ero realmente in guerra con un direttore sportivo. Non mi piaceva, non avevo rapporto, il mercato un disastro, era il 2008. Oggi siamo nel 2023 e sono un altro”.
Parliamo del tuo rapporto con Tiago Pinto. Chiariscilo una volta per tutte… “Non è una cosa nuova per me. Le persone possono avere una percezione diversa, ma io ho sempre avuto un eccellente rapporto con le società in cui ho lavorato. Me ne sono andato per mia decisione quando sentivo che era giunto il momento. Eccezion fatta per il Tottenham, esonerato due giorni prima di giocare una finale, una cosa pazzesca”.
Il fatto di essere uno straordinario comunicatore ha sempre messo in secondo piano la grandezza del tecnico. Ti viene spesso rimproverata la scarsa qualità del gioco… “Lo sport è fatto per vincere, anche se sei in una squadra di minore qualità o in uno sport individuale. Quando Jacobs affronta sui 100 un ragazzino che fa 12 e 5, il ragazzino sa di non avere la possibilità di batterlo, tuttavia quel giorno Jacobs potrebbe fermarsi dopo 10 metri e il ragazzino avrebbe un’opportunità da sfruttare. Non si parte mai per non vincere, ogni volta che sento parlare di qualità senza vittorie dico che si tratta di una delle tante bugie di un mondo in cui sono spariti la meritocrazia, il pragmatismo dei risultati e la crudeltà della sconfitta. Sfruttando la potenza del social media vengono fatti passare concetti e valutazioni drogati. Si spacciano per grandi allenatori personaggi senza titoli, invece io credo che il valore corretto lo determini la carriera. Quando finirà la generazione di Carlo, la mia e di altri della stessa età che hanno vinto tanto, dubito che ritroveremo carriere altrettanto lunghe e di successo. I nuovi fenomeni verranno masticati in fretta. Oggi l’allenatore bravo arriva con più velocità e con la stessa velocità viene sostituito da altri fenomeni passeggeri. Prima era il pragmatismo dei risultati che rendeva bravo un allenatore, era la crudeltà di una sconfitta che costringeva un professionista ad andare in A, B, C a battagliare per cercare di tornare a quel livello”.
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni
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