L’italiano è meno fluido del consueto e, nel momento chiave della sua arringa, la mano batte sul tavolo per nove volte. José Mourinho accetta solo cinque domande, ma solo per partorire cinque lunghi monologhi che spaziano dal campo alla vita. Tutti, però, sembrano avere un comune denominatore: “Non sono io il problema della Roma, non lo accetto”.
E anche se non lo aggiunge il corollario è chiaro: io sono la soluzione. Tutto questo nei giorni del mondo alla rovescia, quando dal ventre giallorosso si alzano critiche sacrileghe al gioco proposto dallo Special One e arriva all’Olimpico un Frosinone che, a sorpresa, guarda dall’alto le malinconie di Trigoria.
Il tecnico portoghese non si nasconde, ma stigmatizza il trapasso feroce dagli altari alla polvere. “Vogliamo e dobbiamo vincere, senza cercare alibi”. Come quelli che il suo contratto in scadenza fra nove mesi potrebbe dare. “Il rinnovo non mi è stato proposto, ma a maggio sembrava un dramma se andavo via, così a Budapest (il giorno della finale di Europa League, ndr ) ho detto alla squadra che sarei rimasto, e poi ho fatto lo stesso prima con i tifosi e poi col presidente Friedkin. Durante le vacanze ho avuto la più pazza delle offerte per un allenatore e l’ho rifiutata per la parola che avevo dato. Adesso, pochi mesi dopo, sembro io il problema e non lo accetto. Io non sono il problema. Nel calcio le cose dipendono da molti fattori, non si può dire il responsabile è quello. Perciò sino al 30 giugno sarò qui a lottare ogni giorno. Solo una persona mi può dire che sia finito tutto prima, ed è Dan Friedkin, solo lui può dirmi di andare via. Se non lo fa io resto, perché quando parlo – vista la mia carriera – io parlo al mondo. Non ho paura della pressione esterna, non ho paura dei possibili fischi: se vogliono, mi trovano a Trigoria”.
Mourinho non nasconde i limiti della rosa, ma sa che insieme a Pinto hanno fatto una sorta di scommessa su tanti giocatori soggetti a infortuni. “A causa del financial fair play, si dovevano prendere decisioni ma sai che sono rischiose. è una situazione che già conoscevo e poteva succedere. Per il resto, come difensore puro NDicka non sarà mai come Ibanez, cioè un gladiatore, ma può crescere. Anche Cristante prima non era un genio con la palla, mentre ora è diventato fondamentale”. Ciò che Mou non crede, però, è che esista una crisi del terzo anno, come spesso gli è accaduta in carriera. “Penso che il problema non siano gli anni, ma un rapporto che esiste o meno. E qui esiste. Mi piace tantissimo lavorare qui e non sono stato in altri club in cui mi sia piaciuto di più farlo”.
Dopo avere raccontato come – dall’isolamento di Lukaku alle palle inattive – la squadra non faccia ciò per cui l’allena, il portoghese avvisa tutti. “Mi aspetto di più da me stesso perché sono sempre molto esigente, però mi aspetto anche di più dai giocatori, Questi ragazzi sono miei amici, io sono amico loro. L’allenatore è un uomo solo nei momenti difficili, ma con loro non succede. Certo, a me piace nascondermi, qualche volta isolarmi, ma con i miei giocatori non mi sono mai sentito da solo”.
Eppure stasera, in un Olimpico ancora una volta esaurito, la sensazione è che la più lunga luna di miele della storia delle panchine della Roma sia terminata. Per allentare la pressione, contro il Frosinone occorrerà solo vincere. Altrimenti di Special, alla fine, c’è il rischio che ci sia solo la contestazione di una tifoseria un po’ incredula e un po’ esasperata. Per informazioni, chiedere a Di Francesco, che cadde dalle stelle senza quasi neppure accorgersene.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini
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