Il 29 ottobre al Tempio di Adriano, Luca Di Bartolomei per presentare la Fondazione intitolata al papà che aiuta le famiglie meno agiate a far fare sport ai ragazzi (…) disse una cosa che mi è rimasta impressa: “Ognuno di noi ha il suo Agostino. Ognuno di noi ha il suo Agostino a cui rivolgersi in un momento di difficoltà”. (…) Io non sognavo di essere Agostino perché Agostino doveva stare là, fuori. Io ero il tifoso bambino pazzamente innamorato di una squadra e di uno stadio e lui era quello che ci guidava. (…) Io non volevo essere Agostino perché lui mi rassicurava, era quel pizzico di tranquillità in più che avevo quando subivamo un calcio d’angolo e lui si metteva sul primo palo di Tancredi. (…)
Era quello che mi rappresentava con l’arbitro, cioè con la legge, i genitori per me, quello che aveva una missione: la Roma Campione. (…) Io non volevo essere Agostino perché un po’ già lo ero, perché in Agostino mi riconoscevo: ero serio, timido, capelli corti, sempre a posto. (…)
Forse avrei voluto essere Agostino, ma non per dare un calcio alle mie paure (è splendido questo verso, Marco), ma alle sue, se solo avessi mai immaginato ne avesse. (…) Io non volevo essere Agostino perché lui era il mio Capitano, quello di una città e di una squadra che ha fatto veramente felici le persone. (…) Io non sognavo di essere Agostino perché lui doveva stare ancora qua. Ognuno di noi ha il suo Agostino, il mio è quello che non ci sta.
FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci