La rifondazione della Roma passa per sacrifici e fatica ma non prescinde dalla fermezza. È un principio comportamentale che tiene conto della disciplina – vedi caso Shomurodov – e anche della volontà di fissare dei punti intangibili. I pilastri che non possono essere abbattuti. Abraham è uno di questi.
Ma Mourinho ne ha individuati altri: il portiere, ad esempio, che ha voluto fortemente. Rui Patricio, tra molte cose buone e qualche errore, trasmette quel senso di continuità, la velocità di crociera senza grandi turbolenze, di cui la Roma ha bisogno. E poco importa che il ct del Portogallo lo abbia mandato in panchina nel primo spareggio mondiale contro la Turchia. A Trigoria, la sua placida professionalità ha conquistato tutti.
Fin qui, è stato il mercato della prima estate a rasserenare Mourinho. Che però alla Roma ha anche ereditato giocatori che ritiene insostituibili nella progettazione: su tutti Lorenzo Pellegrini, il capitano, “che se ne avessi tre, li farei giocare tutti e tre“.
A lui infatti non rinuncia mai, neppure se ha la febbre come alla vigilia del derby, con risultati tangibili: in una stagione poco fortunata sotto l’aspetto fisico, Pellegrini ha raggiunto il record personale di gol in un campionato (8) e affinato l’abilità di tiratore sulle punizioni: ne ha già prodotte 3 meravigliose, perfezionando il repertorio di un centrocampista completo.
Fosse per Mourinho, tralasciando questioni finanziarie, la Roma non rinuncerebbe neanche a Smalling, Mancini e Cristante. E se per il primo, ormai ultratrentenne, non dovrebbero esserci dubbi sulla conferma, a maggior ragione adesso che ha recuperato la stabilità fisica, per gli altri occorre attendere il mercato. Mancini potrebbe rinnovare, Cristante potrebbe partire.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida
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