Altro che Special. Mou si cala nel popolo, nel cuore della passione dei tifosi e della sua squadra, chiamata a portare a casa un trofeo dopo 14 anni. La Roma non gioca una finale dal 1991. Insomma, ci vuole una notte Special, ma per l’occasione Mourinho si è normalizzato: non basta lui, serve la squadra per vincere. “Quella dello Special è diventata una vecchia storia. Io posso provare ad aiutare, ma non credo nella magia. Se arrivi a una finale dopo così tanto lavoro vuol dire che hai dato tutto. E’ la squadra che deve giocare, non è il momento per i singoli. Siamo arrivati alla fine del percorso. Nella “finale” con il Toro non si poteva scrivere la storia, finire in una posizione di qualificazione in Europa League è normale. Questa, invece, è storia che si è già scritta per arrivare qui in Albania e giocare una finale europea dopo tanti anni, ma quando arrivi in finale devi fare tutto il possibile per scrivere la vera storia, che è vincerla“.
Mourinho si stacca dal personaggio, si traveste da vecchio allenatore saggio. Dispensa equilibrio, mai arroganza. Eppure lui di finali ne ha giocate (sette) e vinte (quattro) e se alzerà anche il nuovo trofeo stasera avrà fatto l’en plein, considerando anche la Coppa delle Coppe come assistente di Robson: “Io esperto in materia? L’esperienza non aiuta, io pensavo che potesse invece no. Il mio modo di essere è uguale a quando ho giocato la prima finale. Sono concentrato o magari è un mio modo di preparare la gara. La scaramanzia? Odio gli scaramantici. Il sostegno dei tifosi può solo fare bene. Se la Roma ha però una finale con la gente all’Olimpico davanti agli schermi non è certo colpa loro. Mi hanno chiesto con che maglia giochiamo e ho detto che non lo voglio sapere, per me è uguale”.
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni
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