Paulo Roberto Falcao, che oggi compie settant’anni è lì, stampato nella mente e nei ricordi di chi l’ha visto in campo, capace di trasformare l’iniziale diffidenza in un “oh” di meraviglia. (…)
Ma è un racconto, talmente entusiasmante, da indurre una decina di generazioni a credere ugualmente di averlo conosciuto. Non è importante che abbia salutato quarant’anni fa: se vedi uno in mezzo al campo, elegante e autorevole, ancora oggi i ragazzini – e non solo i più maturi – non riescono proprio a trattenersi: ma chi sei, Falcao? Già, Falcao. Che non aveva, in quella Roma, capace di conquistare uno scudetto (‘82-83) atteso e sospirato per quarantuno anni, la velocità di Pietro Vierchowod, la grandezza silenziosa di Agostino Di Bartolomei, i polmoni di Ancelotti, la classe esagerata di Bruno Conti – tutto d’un fiato – l’ appuntamento scontato con la storia del bomber Roberto Pruzzo; ma sapeva essere attrattivo, decisivo, rassicurante e superiore con quel suo incedere elegante. Ma mai fine a se stesso, senza punte di compiacimento e narcisismo.
Falcao non è stato mai – o forse una volta sola – un brasiliano. Piuttosto un olandese a tutto campo, un tedesco per la feroce applicazione, magari un argentino, per il desiderio di non mollare mai un centimetro. (…)
Il calcio di Falcao era un’altra cosa: una calamita, per il pallone e per i compagni; un’Idea resa concreta; la suggestione di poter davvero giocare in dodici. Anzi, di più. Perché Falcao è sempre stato il primo difensore, il primo costruttore, il suggeritore e – a volte, solo quando doveva – anche il finalizzatore. (…)
FONTE: La Gazzetta dello Sport
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