Un uomo così non poteva restarsene su di una panchina, magari sgarrupata, di un qualche giardinetto pubblico, magari diserbato, a guardare il dentro e fuori dei ragazzini alle prese con il pallone, quei pochi per i quali i genitori non investono sogni e soldi nelle scuole calcio che t’insegnano gli schemi ma il saltar l’uomo e il tocco di classe un po’ meno. Gli toccava un’altra panchina, forse sgangherata anch’essa.
Claudio Ranieri di Testaccio è l’uomo delle missioni impossibili, un Ethan Hunt “de noantri” per restare al personaggio di Tom Cruise e di tutti i suoi sequel. In Inghilterra, ai tempi del Chelsea che lui costruì per poi lasciarlo alle vittorie di Mourinho, avevano preso a chiamarlo “Tinkerman”, l’aggiustatore, che a volte è scrupoloso e a volte pasticcione, ma era una definizione affettuosa.
E lui aggiustatore di squadre è stato sempre, oltre che specialista in miracoli. (…) Arrivò al Cagliari nel 1988: era in Serie C e vinse la Coppa Italia di categoria ed in due anni tornò tra i grandi e riuscì pure a restarci. “Avessi avuto Riva, gli avrei detto ‘gioca dove ti pare”, dichiarò, e questo è già un bel programma per gli ossessionati schernisti d’oggi. Il palmarès è di tutto rispetto: promozione in A, Coppa Italia e Supercoppa Italiana con la Fiorentina, Coppa di Spagna, Intertoto e Supercoppa Uefa con il Valencia, Ligue 2 con il Monaco, fino alla meraviglia della Premier League con il Leicester nella stagione 2015-16, che è un’impresa di quelle che gli storici dello sport considerano fra le più incredibili della storia d’ogni disciplina.
Mise Gary Lineker in mutande: il grande giocatore (e più grande ancora commentatore: ma quali adanate e cassanate) scommise che avrebbe condotto il suo show in intimo solo che Ranieri riuscisse a miracolare il suo Leicester. Sir Claudio mantenne la vetta della classifica, Gary la parola. E la Roma? Era il sogno del piccolo testaccino, il sogno dell’allenatore che ha vinto anche il titolo di allenatore dei sogni.
Qui lo hanno chiamato, come fosse Santa Rita che risolve i casi disperati, quando gli scarpini erano sull’orlo del baratro o almeno sull’orlo di una crisi di nervi. Due partite due sconfitte, via Spalletti. Quasi quasi vinceva lo scudetto del 2010, non fosse stato per quel pazzesco Pazzini di Roma-Samp. Arrivederci e grazie dopo un 4-3 di sconfitta al Marassi genoano.
Era il 2019 quando tornò l’8 marzo (stavolta il ‘cacciato’ era Di Francesco): andò vicino alla qualificazione in Champions (3 punti) ed andò anche via. Entrò in corsa alla Samp per vincere il derby, di-ventando così l’unico allenatore in Italia a vincere i quattro derby classici (Roma, Milano, Torino e Genova). Ricominciò poi il giro di giostra: rieccolo al Cagliari che sta affondando in Serie B. Lo tira su, lo porta in serie A e ce lo fa restare, dopo che è restato lui in panchina perché, dimessosi, i giocatori non gli hanno consentito di andare via, che è l’esatto contrario dei giocatori che in altri casi non ti consentono di restare.
FONTE: Il Messaggero