Non si può essere sempre l’uomo giusto al posto giusto. Esiste il momento sbagliato, il gesto sbagliato e l’attimo in cui tutto crolla. Partita, qualificazione, rimonta, sogni. Svilar lo comprende a pochi minuti dalla fine di una partita che diventa un incubo con un solo gesto, dopo tanto aver fatto prima. Ma il calcio è ingrato e crudele. E lui lo capisce quando esce incredibilmente a vuoto a dieci minuti dalla fine, sul 2-0 per la Roma con la qualificazione rimessa in discussione e la possibilità di giocarsi i supplementari. Il pallone finisce sul corpo di Mancini e nella porta di Svilar. Fine dei giochi. Eppure fino a quel momento era stato l’eroe della serata.
Svilar è stato consolato dal suo rivale Rui Patricio e applaudito dai tifosi, loro sì riconoscenti. Era finita per colpa sua, ma se sono stati lì fino all’ultimo, era per merito suo. La Roma fa tutto quello che può e che deve: crederci finché è possibile crederci. E ci vuole una dose massiccia di follia, determinazione, convinzione, attenzione.
Sembra ci sia anche la fortuna. Non è vero. Inizia sapendo di dover esercitare l’arte della pazienza, mantenere il controllo, senza frenesia, correre e giocare a una velocità più bassa della voglia che ha di spaccare la partita. Aspettando l’attimo che cambia il mondo. Le rivoluzioni non si fanno in un giorno. E arriva il primo episodio, anche se non casuale. Perché il rigore segnato da Paredes per il fallo di Tah su Azmoun nel finale del primo tempo non arriva per caso.
C’è dietro una intuizione di De Rossi che vede in difficoltà Zalewski e cambia tutto, mettendo El Shaarawy a complicare la serata di Frimpong, quello che all’andata aveva fatto impazzire tutti e che invece alla BayArena è in difficoltà. E aspetta. Esercita un secondo tempo di attesa, affidandosi a Svilar. Arriva il secondo episodio. Il fallo di mano di Hlozek in area di rigore che l’arbitro Makkelie va a rivedere al Var. Il secondo rigore e sempre Paredes che non sbaglia. Sono diciassette minuti di eccitazione. Può succedere. Può essere. Non sarà. C’è quell’uscita a vuoto dell’uomo che sembrava imbattibile, lui, santo protettore delle difese, che manca il pallone e regala il gol al Leverkusen. Si frantuma tutto. Non c’è abbastanza tempo, e forse non c’è neanche più la voglia.
FONTE: La Repubblica – S. Scotti