Sconfitta disastrosa. Che fa e farà dannatamente male perché toglie troppe certezze, e non solo perché si tratta di un derby. I tre punti e le tre reti sono il minimo nell’inventario del fallimento. Occhio alla testa. Se sono gli altri a ripeterti che sei forte con i deboli e debole con i forti puoi anche fregartene, farne anzi un motivo rabbioso di rivalsa, ma se sei tu che cominci a pensarlo sono guai seri. E, da ieri sera, Pellegrini e compagni dovranno essere molto, ma molto bravi a non pensarlo. Onestamente, quasi impossibile.
Troppo facile gettare la croce su Ibañez al suo primo derby. Il bug è totale. Collasso di tutto un reparto tra incespicate e scivolamenti. Il ragazzo sbaglia postura e scelta, la mala sorte si aggiunge, non si riprenderà più. Continuerà a incespicare e scivolare, scivolerà anche nell’azione dello 0-2. Buio totale. Claudicanti tutti i leader della squadra. Spinazzola che non salta nemmeno se stesso, un fantasma davanti, irrilevante dietro, Veretout che gira a vuoto, Smalling esitante, Micky e Pellegrini sotto tono. Ma, se devo scegliere un protagonista in negativo di questo letale passaggio a vuoto, il nome è uno solo, l’uomo con la fascia, Edin Dzeko.
Capitano inadeguato. E non è nemmeno una critica tecnica, che pure sarebbe inevitabile, punta avanzata di una squadra che non ha mai nemmeno annusato lo specchio della porta. Ottimo giocatore Edin, importante la sua storia nella Roma, ma non può fare il capitano di questa squadra e forse di nessuna squadra. Se ti ritrovi poi a giocare un derby sotto di due reti dopo venti minuti e poi di tre, la sua insufficienza emotiva fa male, è un cazzotto nell’occhio oltre che nei cuori. Da capitano a capitano, da De Rossi a Dzeko, una caduta verticale.
È una Roma questa non esattamente dall’anima testaccina, troppi giovani, da troppo poco tempo insieme, un allenatore elegante, intelligente, capace, ma non certo un trascinatore. Una squadra così non può mettere alla testa del branco un leader così molle. È una dichiarazione di resa, già dal momento in cui gli metti la fascia al braccio. Il capitano di una squadra non deve essere necessariamente il leader tecnico, ma uno, magari meno leggiadro di piede, che sa urlare nei momenti giusti cosa voglia dire appartenere a una maglia. Da Dzeko non è arrivato nessun impulso di questo tipo. Linea piatta. Solo messaggi di resa. (…)
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto