Il report ieri su Dybala è la fotografia dei suoi 2 anni romani: “il calciatore si è parzialmente allenato con il gruppo”. Un avverbio quantomai esaustivo. Perché parlare di Paulo a livello tecnico, di classe, di qualità, di incidenza sulla squadra (basti pensare che senza di lui la Roma ha vinto in stagione solo 7 gare) è superfluo. Come Dybala in Serie A, non ce ne sono o si contano sulla punta delle dita. È Joya nella sua unicità ma gioia per chi lo guarda giocare, toccare il pallone, inventare.
Poi però subentra il “parzialmente”. E allora i discorsi cambiano. Perché una stagione tra campionato e coppe contempla ormai 50-55 partite per un totale di 4500/5000 minuti. E qui i conti non tornano. Per la precisione: ad Empoli, ultima di campionato tra una decina di giorni, la Roma chiuderà un ciclo di 107 partite (tolte le amichevoli) negli ultimi due anni. Moltiplicato per 90 (minuti), escludendo quindi i recuperi, il totale fa 9630. Paulo, tra invenzioni, gol (34, di cui 14 su rigore) e assist (18) ne ha giocati 5057, ossia il 52%. Tradotto: il fuoriclasse della Roma, quello che cambia il volto della squadra quando c’è o non c’è, gioca una partita su due. E spesso, suo malgrado, manca nei momenti topici.
Ora la riflessione non è se Paulo debba restare alla Roma o meno. Lo deciderà lui, con il suo staff, dopo essersi confrontato con i Friedkin (cosa mai avvenuta in questi due anni) o con il nuovo ds Ghisolfi e con la Ceo Souloukou. La clausola rescissoria c’è, qualche interesse pure (Atletico Madrid e club arabi con lo stipendio che salirà a 8 milioni) ma la questione è più profonda. Se si chiede a De Rossi, non direbbe che è pronto a incatenarsi al cancello di Trigoria in caso di addio dell’argentino soltanto perché Daniele ha memoria lunga e ricorda che furono le stesse parole pronunciate da Garcia per Pjanic, con l’epilogo che tutti conosciamo.
FONTE: Il Messaggero – S. Carina