Veretout. Tutto vero. Ultimo secondo, ma ultimo davvero. Neanche il tempo di grattarsi la pancia che è tutto finito e fischiato. Tremila romanisti a Bologna nel sollazzo più assurdo. Si scrive Dzeko, ma si chiama anche Pellegrini e si chiama soprattutto Jordan, ho detto Jordan, Veretout. Prima ancora si chiama Aleksandar, il grande, Kolarov, un piede che può darci la buona notte a tutti i suoi cari. Che da ieri crescono a migliaia. Detto, una volta per sempre, a scanso di equivoci, a scanso di trascurabili “incidenti” della storia, il vero leader oggi di questa Roma.
E quel francese della Loira che viene giù palla al piede nell’ultima azione come se fosse l’ultima, con l’eleganza dello slalomista e il movimento letale del serpente? A partita finita e Roma in dieci. L’avete visto anche voi Paulo Fonseca, da ieri romanista al cento per cento, finalmente scongelarsi dal suo millenario, aristocratico aplomb di uno evaso e scamiciato dalle pagine di Eca de Queiroz, il più grande scrittore portoghese, per abbracciare chiunque, giocatori, magazzinieri, sconosciuti. In un mucchio che sa di presagio della Roma nascente.
Non bella ieri, ma solida, chirurgica e anche fortunata. Fortuna non casuale. La fortuna di chi sa e di chi vuole. Se lo pensiamo come un cammino di conoscenza, alla scoperta di se stessa, la Roma di Fonseca, ieri alla sua prima prova fuori le mura, si è data una nuova certezza, ben più importante dei tre punti. Si è scoperta pragmatica e non lunatica, capace di attendere quando serve e colpire quando è necessario. Breve. Una squadra vera. Miracolo inverosimile, in così poco tempo, di uno straniero venuto da mondi più stranieri di lui.
Una squadra fin qui insinuata di bipolarismo, di bilinguismo, di biforcutismo. Bella e micidiale davanti, disastrosamente allegra di dietro. La Roma di Bologna si è scoperta altro e da ieri, ma diciamo oggi, perché ieri era solo ebbrezza spensierata, saprà valutare l’importanza di questo mattone della sua crescita.
Che non va verso una minacciosa normalizzazione, ma verso l’emozione di un gruppo che sa variare a iosa i suoi talenti, i suoi profili tattici, le sue esecuzioni, in un’idea di compattezza ritrovata, dopo la buia stagione dei Monchi e dei Difra. Citazione per Pau Lopez che, se non fa il mirabile su Soriano… E, di conseguenza, in quanto causa, per Petrachi, che, non è presto per dirlo, ha indovinato tutto o quasi tutto.
FONTE: Il Corriere dello Sport – G. Dotto