La Roma è come se fosse tornata indietro nel tempo di un anno, quando i tifosi di tutto il mondo protestavano per gli addii di De Rossi e Totti. Questa volta a scatenare la rabbia dei sostenitori giallorossi è il rifiuto di James Pallotta all’offerta di 575 milioni di Dan Friedkin per acquistare il club. Anche perché se la campagna cessioni non dovesse dare i frutti sperati, aumenterebbe il rischio di perdere Pellegrini e Zaniolo.
Avrebbero fatto comodo quegli 85 milioni proposti dal magnate texano che, nell’anno in cui il fair play finanziario viene congelato, avrebbe ripulito il bilancio e consentito di ripartire quasi da zero (esclusi i 300 milioni di debito), liberando in tal modo la dirigenza dal fardello delle plusvalenze.
Invece Pallotta verserà i 42 milioni per completare l’aumento di capitale, cercherà nuovi finanziamenti da banche Usa e farà «factoring», cioè anticipazione di crediti sui futuri guadagni, con l’obiettivo di vendere la Roma nel giro di tre anni (la caccia all’erede è già iniziata).
Intanto emergono nuovi retroscena su questa infinita trattativa. Nel 2019, prima di completare la ‘due diligence’, la Roma era stata valutata 700 milioni. Visti i conti, Friedkin ha formulato la prima offerta di 660 milioni, condizionata dall’esito del mercato che prevedeva le cessioni di almeno Pastore e Juan Jesus. A fine febbraio la seconda offerta di 610 milioni fino ai 575 milioni post-pandemia, rifiutata da Pallotta.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini