Ma che vi aspettavate scusate? Le immagini al Colosseo Quadrato fecero il giro del mondo per quanto impressionarono tutti, non solo i tifosi della Roma. Si stava celebrando, in un posto d’incanto una vecchia liturgia profana: il campione presentato al popolo (quello era, quello è il tifo romanista). Perché la gente stava lì? Per il pallone? Perché era sicura che avrebbe vinto? Perché je davano i soldi? No, faceva pure caldo, era tardi e non si sapeva dove parcheggia’: stavano (stavamo) lì perché quello rappresentava un sogno.
Come tale ingenuo e tutto a venire, forse a perdere, sicuramente a gratis, cioè senza interesse, tanto più che sembrava così piccolo come quel calciatore dalla faccia di bambino davanti alla definizione stessa di grandezza: Roma. Un puntino e una montagna di marmo e d’amore. In diretta quasi mondiale. Dybala alla Roma rappresentava per tutti un evento, per noi era l’evento che accadeva e si realizzava dentro. Finalmente.
Sono passati due anni che non sono tanti, ma nemmeno pochissimi. Soprattutto se in questi due anni ci metti dentro non tanto i 30 gol e 14 assist, il gol al Feyenoord all’ultimo minuto che t’ha permesso di salvare quella canzoncina, la tripletta al Torino, le prime reti al Monza, il gol al volo contro l’Inter a Milano, il gol col Milan in Coppa Uefa che ti dà la semifinale, ogni tocco, stop, finta, arte, abbocco, non tutto questo e molto altro, ma le lacrime di Budapest. Anticipo: Dybala dovrebbe rimanere alla Roma fino a che la Roma non vince l’Europa League (nel caso fosse la Champions, ve la passo).
Se dovessimo aspettare 10-20 anni si farà un contratto a tempo indeterminato per portarlo quantomeno in panchina quel giorno: magari la faccia da ragazzino sarà diventata quella di un uomo che quindi saprà meglio assaporare e dare un senso a tutto. Perché io, e come me credo quasi tutti i romanisti, non ho più rivisto il suo gol, il gol di Paulo Dybala in finale di Coppa Uefa (ah sì c’è pure quello dentro).
Mi fa troppo male ripensare a tutto quello che non solo poteva essere e non è stato, ma quello che era in quel momento (forse veramente il balsamo per il 1984): eravamo felici quando stra-urlavamo gol in faccia all’Europa e sapevamo benissimo di esserlo. Non sono mai stato contento come in quel momento dopo una rete della Roma. Poi… Poi è uscito Dybala e se venisse ceduto adesso è come se non rientrasse più. Dybala è un discorso sospeso, il singhiozzo di Budapest… Dybala è la tenerezza della Roma.
Quella verso i bambini che fanno continuamente la sua maschera, quando segnano, quando vengono inquadrati, quando si mettono la maglietta, quando si mettono per sbaglio la “maschera” negli occhi o sulla bocca; è la tenerezza di Budapest quando in lui c’abbiamo rivisto il figlio da consolare che avevi accanto sul seggiolino o in qualche telefonata/videochiamata solo disperato a casa. Ci ha fatto persino un regalo: nel vederlo così per un attimo ho smesso di pensare a quanto stavo male, come a dover intervenire con un ragazzino per cercare di dirgli “dai non fa così”. Che era un po’ parlare a te stesso (io sto aspettando ancora qualcuno che me lo dica). That’s football gli disse da fratello maggiore Matic, anzi “il signor Matic”. Questo è il football se sì, si tratta di vincere o perdere, di finale di coppe e di campioni, ma quelle lacrime “signor Matic” non riguardano il football, o il calcio, né una squadra di pallone, ma un’altra cosa: la Roma.
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FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci