Questa è una pausa da sfruttare, per convertire le perplessità striscianti in applausi liberatori. Due settimane di lavoro, nell’eremo di Trigoria e lontano dai giudizi popolari, per rigenerarsi psicologicamente e stipulare un patto con la verità. Matias Soulé è stato acquistato a peso di milioni perché aveva appiccicata sul piede sinistro l’etichetta del fenomeno, che ancora non è. Ma sarebbe assurdo pensare, credere, sentenziare anche il contrario: i primi due mesi di Roma sono stati faticosi, per tanti motivi, però non abbastanza da catalogarlo già come un innesto sbagliato.
Ha perso momentaneamente la nazionale argentina, eppure il futuro è dalla sua parte. Non si volteggia con quella destrezza efficace, come gli succedeva fino alla scorsa primavera, per caso. Se si è in grado di produrre un calcio danzante, allegro, pericoloso, la natura e il talento non se ne dimenticano. Basta aspettare il tempo di maturazione e di adattamento al quale il fratello maggiore Dybala, rimasto pure lui a Trigoria per infortunio, può con tribuire offrendo i giusti consigli.
Molti pensano che le difficoltà dipendano dal cambio di modulo. In verità la questione tattica, per un attaccante che ama partire da destra ed entrare dentro al campo, non sembra un tema dominante. Non è mai stato un’ala destra che va sul fondo per crossare, anche perché il piede buono è l’altro. Piuttosto, il problema sembra racchiuso nella testa di un ragazzo di 21 anni che lentamente sta assimilando il concetto di responsabilità.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida