Tra i tanti meriti che Luciano Spalletti ha accumulato negli anni, sarebbe bello che da ora in poi si potesse ascrivergliene un altro: mandare in soffitta la leggenda nera del «traditore», che soprattutto alla Roma ha aleggiato per tanti anni. Traditori Chivu, Mexes, Mancini, Aquilani, Pjanic e ovviamente Fabio Capello che – dopo aver tacciato la Juve di «gesuitismo» – il 7 febbraio 2004 disse: «Non andrò mai alla Juve». Com’è noto, le cose cambiarono in fretta e le polemiche non mancarono. Per questo, alla domanda se andrebbe alla grande rivale l’allenatore della Roma risponde con onestà: «Io faccio questo lavoro, sono un professionista. Possiamo parlare anche di Fiorentina, Inter e Milan. Se continuerò ad allenare, io vado da tutte le parti». Giusto così. parlare di traditori significa essere lontani da quello che lo spirito del calcio deve rappresentare.
FEGHOULI OK – D’altronde, il quadro che Spalletti dà è ineccepibile: si fa quel che si può, ma la squadra mi piace così. «Per quel che mi riguarda il mercato poteva anche non esserci, perché questa è la squadra che ho scelto, ed è forte. Noi non siamo nelle condizioni di dire: “Prendo questo o quello”. Per migliorarla bisogna investire somme che ora non possiamo investire. I nomi che fate sono corretti, ovvero Feghouli. Gli altri erano ipotesi che si sono raffreddate e quella più possibile è questa qui». Certo, Juve e Napoli si sono mosse con decisione. «Si sono rafforzate. Sono acquisti mirati. Rincon piaceva anche a noi».
IO E PALLOTTA – Ma d’altronde un anno fa a Miami il presidente Pallotta non gli aveva promesso niente. «Sono tornato perché mi sembrava una squadra forte, mi piaceva lavorarci e sono contento di essere ritornato. Io non ho chiesto nessuno. Non voglio che mi vengano fatte promesse di nessun genere. Trovo chiaro il messaggio dell’a.d. Gandini nei miei confronti, ovvero che la società si aspetta di vincere perché c’è tutto per vincere. Per poter continuare a meritare questa società bisogna vincere: se non vinco devo far posto ad un altro. Qui c’è tutto per farlo. I giocatori sono forti, lo dicono anche loro e io sono d’accordo. Certo, bisogna pure crescere e qui è un po’ più difficile. Ora può succedere che viene una squadra cinese crei una scorciatoia per il successo. Non si può competere. Perciò ben vengano le regole».
TRAPPOLA GENOA – E mentre il calcio internazionale ridisegna le proprie strategie, la Roma ha una quotidianità a cui fare fronte, quella rossoblù. «Se vai a vedere le partite del Genoa contro Juve, Milan e Fiorentina, hanno fatto vedere di essere veramente forti. Fanno una sorta di marcatura a uomo, una battaglia individuale dentro le partite che riesce a stimolare il pubblico. Questa è la maggiore insidia, oltre al fatto che giocano un bel calcio. Hanno un impatto fisico che è messo in risalto».
STADI E TIFO – Insomma, una sorta di effetto Marassi che rende bella la cornice. «Per questo c’è bisogno di fare stadi nuovi, a cominciare da quello della Roma. Se un giapponese accende la tv e trova una partita inglese e una italiana e non sa di calcio, stai tranquillo che guarda quella inglese». Non c’è dubbio per questo il corollario è facile. «Vorrei che togliessero le barriera e facessero tornare i nostri tifosi allo stadio. Calciatori e allenatori si possono sostituire, ma la loro passione no». Vero. Fatte malinconiche eccezioni, gli unici non professionisti, in fondo, sono solo loro.