L’esperienza un giorno farà migliorare Daniele De Rossi. Ad esempio, difficilmente sul quattro a zero contro una squadra che i bookmakers davano per favorita si arrabbierà come ha fatto con i suoi collaboratori perché Bove non era ancora pronto al cambio che lui appena pochi secondi prima aveva ordinato. Ma, sia chiaro: l’esperienza lo migliorerà solo su questi aspetti. Perché per il resto Daniele De Rossi ha davvero poco da imparare. Lui la sua esperienza da allenatore l’ha fatta giocando, crescendo col Dna di papà Alberto (che belle le parole spese in conferenza su di lui…) e osservando pregi e difetti dei diversi tecnici che lo hanno allenato.
Dai difetti hai imparato forse più che dai pregi, perché il resto ce lo aveva già in testa, anche quando giovanissimo ascoltava il suo compagno di squadra Guardiola spiegare come sarebbe potuta uscire meglio quell’esercitazione sul campo se si fosse fatta in quell’altra maniera, o ascoltando i consigli di Tomic, uno dei giocatori-scherno della Roma, di quelli utilizzati da certi tifosi per fissare in basso i parametri accettabili di rendimento, eppure ascoltato da Daniele in certe giornate pigre di allenamento.
Che vuoi insegnare ad uno così? E come è possibile spiegare la magia di una serata come quella regalata giovedì sera ai tifosi della Roma? Si può spiegare la fantasia? Per farlo bisognerebbe avere la stessa mente aperta e capiente dell’allenatore della Roma e sinceramente il vostro cronista non ne ha la capacità. Possiamo solo provare a fissare alcuni punti chiave di un pomeriggio magico i cui picchi di calcio meriterebbero di essere fissati nelle tavole della legge di questo magnifico sport. Proviamo a raccontarne alcuni.
Le scelte: la difesa Intanto le scelte strategiche generali sono partite da un punto: mettendo tre centrali veri, deve aver pensato De Rossi, anche con gli accorgimenti tattici più offensivi, la squadra non avrà mai la forza per andare nella metà campo avversaria tutte le volte che vorremmo andarci e inevitabilmente lasceremo il pallone troppo tempo tra i loro piedi.
Niente Smalling, dunque, che era un po’ la tentazione che potrebbe aver accarezzato alla vigilia, e dentro El Shaarawy, l’uomo che si è rivelato fondamentale per il doppio, incessante lavoro nella copertura delle discese di Lamptey e ovviamente nelle sortite offensive, con due assist gioiello che hanno definitivamente chiuso la partita. Il lavoro difensivo che avrebbe potuto fare il terzo centrale è stato di conseguenza spostato su Spinazzola, chiamato molto spesso nel primo tempo a seguire in ogni zona del campo il terzo attaccante che restava fuori dalle marcature personalizzate di Mancini e Ndicka.
Logico che si poteva soffrire, in questa maniera. Se, tanto per fare un esempio circa l’imponderabilità del calcio, Welbeck avesse segnato nell’occasione in cui ha sovrastato il terzino in uno dei cross azzeccati da Adingra nel primo tempo, probabilmente si sarebbe potuto rimproverare a De Rossi l’errore. Ma un allenatore non può mai ragionare solo sulla possibilità che un evento avvenga per provare ad escluderlo, ma limitarlo ragionando semmai sulle probabilità che questo si verifichi. Il rischio, insomma, è stato calcolato, il destino gli ha dato ragione ed è bene che se la prenda tutta.
Avere Spinazzola come terzo centrale, e non Smalling, ha consentito alla squadra di godere di sortite offensive che non hanno portato buoni frutti già nel primo tempo solo per un caso, quando proprio Spina ha messo due invitanti palloni sulla testa di Lukaku. Ma nel secondo tempo anche lui ha contribuito al dissesto della difesa del Brighton rifinendo con un contributo decisivo la fantastica azione del quarto goal.
Contare poi su giocatori affidabili come Mancini e Ndicka, praticamente quasi perfetti nelle chiusure difensive, sapendo di avere alle spalle altri tre giocatori importanti e sotto utilizzati come Smalling, Llorente e Huijsen, garantisce oggi a Daniele un futuro brillante sia nel breve sia nel medio termine.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco