Un esonero già scritto, l’annuncio della separazione con l’ex allenatore ancora negli spogliatoi nel dopo partita, ma già ex, la scelta del suo successore affidata a un’agenzia: la Roma dei Friedkin, cosmopolita nell’animo ed estremamente americana nel modo di agire, domenica ha aggiunto l’ennesimo capitolo al suo romanzo di (chi fa la) formazione. Via Juric con la squadra sotto la doccia, così come era stato cacciato il rinnovato De Rossi appena prima di un allenamento, il tutto dopo il peccato originale dell’allontanamento di Mourinho: c’è qualcosa di Debord, in tutto questo, ma soprattutto nei pensieri e nelle parole (rigorosamente in francese, quello di Ghisolfi), nelle opere e nelle omissioni, si nota un algido distacco manageriale, vagamente padronale, all’insegna di nessuna empatia.
Conta eccome l’umore, così come contano le amicizie, il rapporto con quelli che ci mettono una buona parola con i procuratori — e quante volte lo abbiamo visto — in un’ottica di do ut des, per non parlare poi delle mode, come quando, in un certo periodo storico, sembrava che tutti potessero diventare i nuovi Guardiola o i nuovi Zidane, gli idoli del campo catapultati nel ruolo di capo allenatore: quella della Roma fu la prima panchina vera e propria di Montella.
Per tutto questo, un’agenzia sembra cosa dell’altro mondo. Eppure, da anni c’è un club che cerca l’allenatore affidandosi all’intelligenza artificiale. Un database aggiornato, parametri definiti, richieste chiare e un algoritmo fa il resto: così il Liverpool chiamò ad Anfield Road Jiurgen Klopp, che ai Reds ha segnato un’epoca. Nessuno da quelle parti si è sorpreso quando, pochi mesi fa, il procedimento è stato ripetuto per definire il sostituto e il cervellone ha scelto Arne Slot, olandese, ex allenatore del Feyenoord, cioè uno che non aveva l’aura da guru di un Arteta e di un Ten Hag, né il curriculum di un Emery o un Allegri. Ebbene: oggi il Liverpool è primo per distacco in Premier League e guida da solo anche la classifica unica della Champions.
FONTE: Domani