Anche in capo al mondo, e in qualche modo questo paesino norvegese lo è, c’è solo Mourinho. Lui, il Boss, lo sa. E in qualche modo se ne compiace: regge il ruolo, se ne fa carico, sopporta gli oneri, si gode gli onori. Anche allo stadio si prende la scena, nella tormenta firma autografi a dei ragazzini rimanendo quasi a maniche corte e scherzando con tutti, quando testa il campo con la squadra, dalla tribuna si sente soltanto la sua voce; rivolge una battuta divertente a Darboe, tutto il gruppo scoppia a ridere: «È la mia famiglia», dirà qualche minuto più tardi a Sky. (…)
Ma da lui i giocatori accettano tutto. A vedere da vicino i loro sorrisi si capisce esattamente in che cosa consista il metodo Mourinho, quanto punti sull’empatia, quanto sfrutti la sua capacità di affascinare l’interlocutore. «Non lascio i miei ragazzi, per i prossimi tre anni sto qua». Le sue frasi colpiscono, anzi scolpiscono. Chissà se succederà davvero, chissà se invece interverrà qualcosa a spezzare l’armonia come altre volte da queste parti è capitato. (…)
Il Boss è sempre più saldo alla guida. Sa quello che fa e perché lo fa, sa quello che dice e perché lo dice. È in controllo, anche quando va su di giri (a volte gli capita in panchina), quando va per sottrazione (in altri tempi come avrebbe commentato il disastro di Torino di Orsato e Nasca?), quando bastona un giocatore in conferenza stampa, quando usa parole al miele per i suoi avversari (anche ieri: «Adoro venire in Norvegia»).
Gli manca solo il guizzo sul campo. La Roma quest’anno si è presa quasi tutto quello che si è meritato, e ha purtroppo lasciato punti al di là dei suoi demeriti in due partite fondamentali, contro la Lazio e contro la Juventus. Domenica, dopo l’intermezzo gelato di stasera, toccherà al Napoli. Non sarà certo la partita di Bodø a cambiare il senso dell’avventura del portoghese sulla panchina della Roma, ma potrebbe farlo invece quella contro gli azzurri di Spalletti al rientro all’Olimpico. (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco