La Roma mette la quarta, che poi sarebbe la quinta se si considera anche l’esordio di Coppa a Nizza, va in testa alla classifica in coabitazione (grazie alla vittoria di ieri sera del Milan sul Napoli), si libera con un gol per tempo di un avversario tostissimo – che ha avuto un solo momento di blackout proprio all’Olimpico contro la Lazio, ma ha già tolto punti alla Juventus e lo farà con tante altre squadre – e soprattutto dà un bel segnale alle avversarie: la Roma c’è, la squadra di Gasperini sta prendendo forma e quando scenderanno le temperature e salirà la condizione sarà sicuramente capace di controllare le partite più di quanto non gli sia riuscito ieri.
Il 2-0 è sicuramente un risultato ingiusto perché il Verona ha costruito quattro palle-gol importanti e ha segnato solo al 95’, ma con un colpo di braccio di Orban, che poi ha provato a negare prima di essere sbugiardato dal Var. Alla fine va bene così, i tre punti si sommano ai 9 già raccolti e si vola, con la gioia dei distacchi importanti già impartiti a tante avversarie in lotta per l’Europa.
Nell’Olimpico vestito a festa di questa fine estate, ma con tutti gli striscioni dei gruppi di Sud e Nord (e di qualcuno anche in Tevere) esposti al contrario in segno di protesta per gli arresti e i fermi di Nizza, la Roma ha voluto indirizzare sin dai primi minuti la partita nella direzione auspicata, sorprendendo il Verona giovane, talentuoso e veloce messo su da Paolo Zanetti. Pochi, come promesso, i cambi di formazione rispetto a Nizza: giusto i tre/quarti del centrocampo e Pellegrini al posto di El Shaarawy, sostituzione già anticipata all’intervallo della trasferta francese.
Così davanti a Svilar si sono rivisti gli inossidabili Celik, Mancini e Ndicka, con Cristante stavolta al fianco di Koné, con i previsti cambi sulle fasce (Wesley al posto di Rensch, Angeliño al posto di Tsimikas), e Dovbyk a sorpresa confermato al centro dell’attacco, con Pellegrini (che adesso scala le posizioni per potersi riprendere presto anche numericamente il diritto ad indossare la fascia, ieri sfoggiata da Cristante) e Soulé. E l’ucraino ha ripagato presto la scelta del tecnico, prima partecipando ad un’azione pericolosa già al terzo minuto, chiusa in corner su cross dell’attivissimo Pellegrini, poi incornando di testa in diagonale imprendibile un cross pennellato da Celik, al 7’.
Bella l’esultanza di Gasperini, ancora una volta ispirato nelle sue intuizioni: dopo la mossa a sorpresa di Pellegrini nel derby, ieri quella di Dovbyk. Ma il Verona, dopo qualche altro minuto di sofferenza, ha ripreso a camminare come aveva fatto sette giorni prima nella sfida con la Juventus, pareggiata al Bentegodi, mostrando gamba e talento in diversi dei suoi uomini in campo. Zanetti si era affidato al suo consolidato 352 a cui Gasperini si è opposto con la modalità un po’ sghemba di un 3421 asimmetrico, con uno dei difensori che inevitabilmente per trovare l’avversario da marcare si vedeva costretto a salire parecchi metri di campo.
Come a Nizza era capitato a Ndicka di doversi alzare forte su Boudaoui, ieri è successo a Celik di uscire dalla zona di comfort della linea difensiva per prendere Bernede. Mancini e Ndicka si sono così spartiti per la maggior parte del tempo Orban e Giovane, la strana coppia d’attacco di Zanetti (nessun centravanti vero, ma tanto movimento a togliere riferimenti), mentre Cristante e Koné si sono gemellati con i dirimpettai Akpa Akpro e Serdar, e poi Wesley e Angeliño opposti naturalmente agli esterni Bradaric e Belghali, con Pellegrini e Soulé sui centrali Nuñez e Frese e Dovbyk impegnato in un gran duello con l’ex Nelsson. E per onor di verità, va detto che sul gol l’ucraino ha preso il tempo a Nuñez e non al danese.
In svantaggio, il Verona ha preso forza e la Roma si è fermata un po’ a guardare, senza deliberatamente decidere di abbassare il baricentro, ma lasciando piccoli spazi nei quali i gialloblù si sono trovati a proprio agio, già nel primo tempo, ma soprattutto nel secondo. E nonostante il terribile ruolino personale (Zanetti era ieri all’ottavo confronto diretto con Gasperini, e non gli ha mai strappato un punto), il Verona sapeva esattamente come colpire i punti deboli della Roma e ha cercato di sfruttarli non appena se ne è creata l’occasione.
Al 15’, per esempio, Belghali ha fatto un gran movimento all’indietro dopo aver battuto lui stesso il fallo laterale, fino a scattare nella profondità della metà campo romanista prendendo il tempo ad Angeliño e andando a raccogliere il preciso invito di Serdar (giocatore davvero di gran livello), per poi crossare in area dove il velo di Bradaric ha favorito la conclusione di Orban, praticamente a colpo sicuro, se non fosse che Svilar arriva ovunque ed è arrivato anche lì, letteralmente mettendoci la faccia. Sul successivo corner, Mancini ha fatto prendere un bello spavento a tutti, avendo la peggio in un contrasto di testa con Giovane, finendo con lo zigomo spaccato in due. Ma dando ulteriore lustro alla sua fama di guerriero, dopo una sommaria medicazione è rimasto in campo con un cerotto vistoso.
Al 25’ una splendida intuizione volante di Pellegrini (che ha trasformato una palla addosso in un triangolo di prima con Dovbyk) ha aperto la strada della porta all’ex capitano, fermato sul più bello da una superba scivolata ancora di Serdar. Poco dopo c’è stata l’occasione più ghiotta per il Verona, su cui però pende il dubbio di una posizione di fuorigioco che visto l’esito negativo della conclusione finale non è stato riguardato al microscopio: in questo caso l’azione è partita da una palla persa a metà campo da Koné e si è sviluppata poi sulla fascia sinistra con un cross di Bradaric basso su cui Giovane (in dubbia posizione) non è riuscito ad intervenire, in qualche modo ingannando il compagno di reparto Orban che alle sue spalle ha colpito il pallone d’istinto alzando però clamorosamente la conclusione e colpendo la traversa, da un metro. Poi fino alla fine del tempo la partita è entrata in modalità gestione, con le difese a prevalere continuamente sugli attaccanti, cross imprecisi, tentativi velleitari, da una parte e dall’altra.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco











