Quel 7 agosto essere romanisti è stato davvero avvilente: orfani di Totti e De Rossi, rifiutati da Conte e pure da Gasperini, abbandonati da Manolas, mai presi in considerazione da Higuain e sdegnosamente ignorati da Icardi, ci siamo sentiti piccoli così quando nella rassegna stampa quotidiana si delineò uno scenario terribile per la Roma e chi la porta nel cuore.
Perché – ci avvisò il Corriere dello Sport – “Dzeko rompe”. Il bosniaco veniva descritto «seccato, scontroso intrattabile» e a chi gli aveva chiesto direttamente informazioni aveva risposto seccato, testualmente, «Mi alleno solo per me stesso e per l’Inter». Nell’articolo di fondo, la Roma veniva descritta «con le spalle al muro» perché tutte le altre big italiane per l’attacco avevano un’alternativa, ma la Roma no: perso Dzeko avrebbe perso tutto. Era «chiusa in un angolo».
E non era solo un’indiscrezione del Corriere. La Gazzetta confermò la teoria: «Dzeko forza la mano e stasera può saltare l’amichevole col Bilbao». Il Messaggero rincarò la dose: «Dzeko vuole l’Inter, punta i piedi e rischia di rimanere fuori dall’amichevole». Che così diventò «un’occasione per Schick», scrisse sempre il Corriere.
Aggiungendo che pur di andar via, Edin era «disposto persino a prendersi tutte le responsabilità della cessione», come se la Roma temesse solo quello. E invece c’era altro da temere, visto che Tuttosport fu ancora più esplicito: «L’Inter sta per chiudere per Lukaku e questo costringerà la Roma a ridurre le pretese». Costringerà. Altro verbo senza bisogno di interpretazioni.
C’era di che restar storditi. Quindi erano pura verità e non spazzatura giornalistica tutte quelle storie sul vassallaggio nei confronti della Juventus (nei giorni dello scampato maxiscambio Perin-Higuain-Spinazzola per Zaniolo e Luca Pellegrini), le difficoltà a spendere, la prima trattativa con l’Inter saltata non per la valutazione ridicola di Dzeko, ma «per il rifiuto di Vergani di accettare la destinazione romana» (Tuttosport, 27 giugno), persino quell’indimenticabile fondo su Libero in cui l’editorialista Pietro Mancini arrivò ad associare la Roma di Pallotta a quella dei tempi della colletta del Sistina.
La prova: aver disdetto all’ultimo giorno il ritiro di Pinzolo come un padre di famiglia che si rinsavisce prima di partire per delle vacanze che non si può permettere. Dunque, la Roma era tornata ad essere un burattino nelle mani dei poteri forti, quelli che brigano nei palazzi del potere e corrono sui prati vestendo maglie a strisce. (…)
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco