In bilico. Ognuno per i suoi motivi. Ma in fondo c’è un filo neppure troppo sottile che li unisce. La Roma di oggi non è detto sia la stessa di domani, dalla panchina ai posti di comando di Trigoria, per non parlare dei giocatori.
Di Francesco, Monchi e, in misura minore, Baldissoni: in ballo c’è il futuro di tutti e tre. I risultati, ovviamente, saranno alla base di qualsiasi scelta. Personale o del presidente. E se la Champions di oggi è una fantastica occasione per sognare ancora, qualificarsi a quella di domani è l’obiettivo principale per impostare al meglio il prossimo anno. Col quarto posto, se non addirittura il terzo (perché non provarci con un’’Inter così piena di problemi?), la Roma avrebbe fatto il suo «minimo sindacale» e Di Francesco avrebbe dei meriti da presentare a Pallotta sul tavolo quando si tireranno le somme. Ma la classifica di oggi tutto dà tranne certezze e le conseguenze di un flop, dal quinto posto in giù, porterebbero al probabile esonero dell’allenatore con un anno d’anticipo rispetto alla scadenza del contratto.
Se fosse dipeso dal presidente, in realtà, il tecnico abruzzese sarebbe già saltato. In almeno due momenti della stagione, Pallotta ha perso la fiducia. E le staffe. Ma non ha voluto comunque cambiare le dinamiche prestabilite nella società: il responsabile dell’area sportiva è Monchi, a lui sono delegate le decisioni tecniche e i conti si fanno alla fine. Come noto, è stato proprio il direttore sportivo spagnolo a confermare Di Francesco, pure dopo una batosta pazzesca come quella in Coppa Italia con la Fiorentina. Prestazioni e risultati successivi contro Milan, Chievo e Porto stanno dando ragione al diesse, ma quella serata di Firenze ha lasciato il segno.
«È stata la peggiore sconfitta della mia carriera» ha detto Monchi nel post-partita al Franchi. Ed era sincero. Già deluso dal rendimento di alcuni acquisti – Pastore il simbolo degli acquisti riusciti male – e dal rendimento generale della squadra, lo spagnolo si sta mettendo seriamente in discussione da solo. Pallotta a mandarlo via non ci pensa, non che tra i due sia tutto rose e fiori, ma l’eventuale – e in questo momento possibile – addio prematuro di Monchi sarebbe una scelta personale dello stesso diesse. Di certo non una buona notizia perla Roma a prescindere, visto che abortire un progetto a metà non è mai funzionale alla crescita.
Psg e soprattutto Arsenal corteggiano Monchi, lui per ora non ha dato la parola a nessuno, intanto da settimane riflette, non è soddisfatto e si interroga se sia il caso di continuare qui. Ha altri due anni di contratto più l’opzione per un terzo. e, come per Di Francesco, molto dipenderà dai risultati finali. Ad esempio, l’entusiasmo di una qualificazione ai quarti di Champions può cambiare le carte in tavola. Lo stesso un brillante finale di campionato, o magari la crescita ulteriore di Zaniolo che, al contrario di Pastore, oggi rappresenta uno dei migliori affari della storia del mercato giallorosso. A maggio si tireranno le somme e il destino di Monchi è inevitabilmente legato a quello dell’allenatore. Inutile fare nomi oggi di potenziali sostituti, si cercherebbe una verità che non può (ancora) esistere.
Quanto a Baldissoni, da poco nominato vice-presidente con la contemporanea promozione di Fienga nel ruolo di Ceo, è difficile pensare che Pallotta rinunci all’uomo con cui da sempre ha il dialogo più intenso. L’avvocato romano è infatti l’unica colonna portante della società rimasta in piedi dall’avvio dell’era americana. Tra i vari incarichi che ha ricoperto negli anni, adesso sta curando in prima persona una vicenda cruciale come quella del progetto stadio. Anche per Baldissoni c’è un «ma»: gli scade il contratto a giugno. La stanchezza non manca, tantomeno la voglia di Pallotta di tenerselo stretto.