Le Iene portano bene, recitava uno slogan di qualche anno fa. Oggi, però, il programma di Italia 1 è nella bufera per il servizio andato in onda domenica che ha visto protagonista il baby gioiello giallorosso, Nicolò Zaniolo e sua madre Francesca Costa. Sette minuti e 40 secondi di battute allusive, doppi sensi al limite del sessismo e una serie di provocazioni che hanno mandato su tutte le furie il calciatore che alla fine è sbottato in un «adesso basta!».
La pietra dello scandalo è stata proprio la vivace mamma di Zaniolo che usa i social senza troppi freni, postando foto e selfie ammiccanti e mettendo in mostra la sua bellezza. Fin qui nulla di strano: ognuno è libero di fare ciò che vuole con i propri social. La cosa triste è l’intervista, una serie di doppi sensi a metà strada tra un film erotico anni 70 e un bar di periferia: «Che posizione ti piace?», «Parliamo di misure…», «Dove ti piace farlo?», etc. Un gusto cattivissimo, almeno secondo il baby campione, che è andato su tutte le furie. E con lui un’intera tifoseria che dai social al sito delle Iene ha sfogato il proprio sdegno.
Sicuramente una cosa del genere solo a Roma e alla Roma si poteva vedere: alzi la mano chi ha mai visto un simile trattamento per un calciatore della Juve? Del Milan? Dell’Inter? Solo nella Capitale e solo per la squadra giallorossa (anche se la società si è lamentata con Mediaset…). Zaniolo, fortunatamente, ha la testa sulle spalle e un’intelligenza sopra la media dei calciatori, ma il servizio delle Iene gli ha fatto capire quante insidie si nascondano in questo mondo patinato. Ora si dovrà capire se mamma Francesca si sia accorta del pericolo a cui sta sottoponendo il ragazzo. Una sovraesposizione che rischia di rovinarne il futuro. «Nicolò si è arrabbiato quando ha visto il conduttore, non voleva rilasciare dichiarazioni, poi hanno montato il servizio e messo la sua sfuriata nel finale ha scritto Francesca Costa su Instagram -. Vivo per i miei figli e mi fanno ridere tutti quelli che pensano che stia destabilizzando Nicolò».
Certo è che a 19 anni, un calciatore di serie A non può essere accompagnato al campo da mamma. Specialmente a Roma, dove voci e pettegolezzi corrono più veloce del pallone. Per la crescita di un ragazzo con un simile potenziale – e la storia di Totti dovrebbe insegnarlo a tutti – serve una blindatura totale della famiglia, degli amici e della società.