Il primo ricordo su Daniele…
«Se penso a Daniele De Rossi, la prima immagine che mi viene in mente è un ragazzino con il caschetto biondo al torneo 4 Nazioni in Olanda, con l’Italia U20. Forse la prima immagine che ho insieme a lui, vicini in barriera. Era giovane, stava facendo molto bene con la Primavera della Roma e fu chiamato da mister Francesco Rocca».
La sua leadership… «Daniele è nato leader. È leader sia in Nazionale che nella Roma. Io parlo di Daniele alla Roma quando lui aveva 30 anni, ma era già leader quando ci giocavo contro e aveva 22-23 anni. Sentirsi questa maglia addosso, sentire l’amore della città, e darlo in cambio perché la cosa era reciproca, ti fa crescere prima come responsabilità e leadership. Lui chiaramente aveva consapevolezza di essere forte in campo e di essere importante per il club e la città. Lui ha questo senso di protezione, di amore, nei confronti dei compagni, dei ragazzi più giovani, dei ragazzi nuovi. È il primo ad aiutarli. Adesso la Roma si occupa della logistica dei nuovi calciatori, ma quando sono arrivato nel 2012 questo tipo di struttura non c’era, per cui Daniele era un riferimento anche per quella che era la parte extra campo».
Il suo primo gol in Serie A… «Io c’ero. Infatti un altro ricordo che ho è proprio il suo primo gol. Io giocavo in quel Torino e ricordo quel gol fantastico. Ma ricordo benissimo anche il suo esordio contro il Como, con Fabio Capello. Giocò da titolare, fece una grandissima partita. Lo seguivo perché avevamo giocato insieme nell’Under 20 e ricordo che fece una grandissima gara».
Il modo di giocare… «Il De Rossi degli anni di Capello e di Spalletti a livello Europeo era tra i migliori tre centrocampisti che ci fossero. Uno dei primi box to box moderni del calcio italiano. Molti lo guardavano per come si posizionava sui cross contro, perché aveva questa capacità di intercettare il pallone, di essere sempre posizionato bene nella lettura difensiva. Ma era altrettanto forte in fase offensiva, quando andava a proporsi. Aveva questa facilità di fare questi 60-70 metri con forza per andare poi a concludere. Questa caratteristica nella sua carriera, anche parlando con lui, l’ha persa. Si è evoluto, ha modificato il suo modo di giocare. Stessa cosa per il tiro in porta, mi diceva ‘Oh, prima tiravo delle bombe, ora non arrivo neanche in porta’ negli ultimi anni di carriera».
Il rapporto con Totti… «Li ho vissuti insieme. Tutti coloro che dicevano che non ci fosse un buon rapporto dicono bugie. Erano sempre insieme: in allenamento arrivavano sempre per primi. Poi ci sono state delle volte dove hanno discusso, hanno due caratteri completamenti diversi. Il carattere di Francesco e quello di Daniele sono agli antipodi, ma avevano anche delle cose in comune, uno su tutti l’amore per Roma e per la Roma. Il legame tra di loro è profondissimo, hanno giocato più di 500 partite insieme. Quando vivi 20 anni da professionista insieme, vivendo determinate emozioni, nulla può scalfire il rapporto. Nessuno di noi puoi capire che legame c’è tra i due. Il giorno dell’addio di Francesco ricordo Daniele in lacrime. E vederlo piangere non è una cosa estremamente facile».
La settimana del derby… «Daniele la sentiva tantissimo. Era una settimana in cui si parlava veramente poco, così come nel pre partita. Anche il discorso prima della gara, che facevano lui o Francesco, era molto più tranquillo e chiuso. Io ero un calciatore normale e dovunque andavo si parlava solo di derby. Per loro era tutto amplificato di dieci».
Un allenatore speciale: Luis Enrique… «Credo che uno degli allenatori che a lui sia piaciuto più di tutti, e che ha sposato il suo modo di giocare in quel periodo della sua carriera, sia stato proprio Luis Enrique. E quando parlava di lui mi diceva ‘Non ho mai visto degli allenamenti così belli, è un allenatore straordinario e trattava tutti uguali’. E a Daniele piaceva questa cosa, lo vedeva come un pregio, un valore».
Daniele in una giocata… «Se penso a lui nel suo apice, un’altra cosa che mi ricordo bellissima è stato il grande intervento contro il Napoli sulla linea che fece nelle 10 vittorie consecutive nelle prime dieci giornate. Si gettò per togliere via il pallone dalla rete e respingerlo sopra la traversa».
Fisico e mentalità… «A Daniele non piaceva gestirsi. E, tra virgolette, non era bravo a farlo. Voleva andare sempre forte. Ricordo che si è allenato più di una volta con dolori particolari perché non voleva mai mollare. A volte probabilmente nemmeno lo diceva. Soffriva, ma non ti dava l’idea di quanto lo facesse realmente per giocare una partita, per allenarsi, per far vedere che c’era. Daniele in campo era cattivo, non voleva perdere. Metteva spesso e volentieri la gamba. Questo suo temperamento l’ha accompagnato e caratterizzato per tutta la sua carriera. Inutile negare che nello spogliatoio non ci siano livelli. Era importante che uno dei leader si mettesse sempre nel gruppo, davanti a tutti. Quando facevamo gli esercizi nel pre partita, lui e Francesco erano sempre in testa. C’era questa gerarchia, giusta e tangibile, ma era positiva perché dava a tutti gli altri il senso di cosa si dovesse fare. Mi ricordo che l’anno scorso fece una partita contro il Porto in Champions League, lo dico da dirigente, in un momento delicatissimo e difficilissimo della stagione dove lui, con uno o due allenamenti in 20 giorni, giocò una partita straordinaria. Per come stava in campo, per l’intelligenza tattica, per il peso specifico che aveva, spostava e faceva la differenza»
FONTE: DAZN