Perché hai deciso di lasciare lo staff di Mancini e il gruppo azzurro?
“È stata una scelta difficile per ché mi sono trovato splendidamente. Io ho dato forse un 1 per cento e loro in cambio mi hanno permesso di vivere un’esperienza indimenticabile. Sarò sempre debitore verso la Nazionale. Però ho chiaro cosa voglio fare: allenare. E per quanto possa sembrare strano, visto che ho solo 38 anni e non mi sono mai seduto in panchina, mi sento pronto. Continuare con la Nazionale, aspettando la prima panchina che si libera, non avrebbe senso e non sarebbe corretto verso la Federazione e verso Mancini che con me si è comportato in modo fantastico”.
Riavvolgiamo il nastro: come è nata la possibilità di entrare nel suo staff? “Quando lasciai la Roma, il mister mi invitò a casa sua e mi offrì di diventare un suo collaboratore. Lo ringraziai, ma rifiutai perché avevo in testa un sogno: giocare con la maglia del Boca Juniors…Mi guardò come se fossi matto, ma mi lasciò una porta aperta: “Anche il giorno prima che cominci l’Europeo, se avrai voglia di unirti a noi chiamami. Ci serve uno come te”.
Iniziato il torneo avevi la sensazione che l’Italia potesse arrivare in fondo? “Sì, per la qualità, la continuità e la coralità del gioco, la compattezza, l’identità forte e lo spirito di gruppo che altri non avevano e ci hanno permesso di affrontare tutti senza paura. Poi è chiaro che per arrivare ad alzare la Coppa ti deve anche dire bene ogni tanto. Successe anche a noi azzurri del 2006, perché se Francesco (Totti,ndr) non segna quel rigore all’ultimo minuto con l’Australia…”.
Gli inglesi che si sono tolti la medaglia durante la premiazione sono stati tacciati di antisportività… “Non so fingere: ho trovato questa polemica alimentata da noi italiani patetica. Ho visto decine di finali in cui chi ha perso si è levato la medaglia. Sono rimasti lì 20 minuti, hanno visto noi alzare la coppa a casa loro, qualcuno ha pure applaudito. Che dovevano fare di più? Abbiamo vinto, siamo stati i più belli, gli abbiamo urlato in faccia il nostro orgoglio, non facciamogli pure la morale. Che non è nel nostro Dna, visto che non siamo degli stinchi di santo. Hanno fischia to il nostro inno? Brutto, certo. Ma quante volte i nostri tifosi hanno fischiato quello altrui e Buffon doveva chiamare l’applauso?”.
Polemiche anche per i vostri festeggiamenti sul pullman scoperto a Roma e le norme anti Covid… “Il problema dell’innalzamento dei contagi non credo sia dipeso da quel tratto di strada, dopo aver visto giorni di feste nelle piazze e migliaia di persone davanti ai maxischermi durante tutto l’Europeo. Se polso fermo doveva esserci, era giusto mostrarlo anche prima. Gli enti preposti dovevano organizzare meglio il nostro rientro e l’inevitabile accoglienza. Detto questo, non è neanche normale che se il ministero dice di no, poi cambi idea perché i calciatori chiedono un’altra cosa”.
Mister De Rossi, qual è il suo calcio? “Alt. Quando giocavo, sentire un allenatore che parlava del “suo” calcio già mi urtava. È facile rispondere che amo una squadra offensiva, votata all’attacco, ma che rispetti gli equilibri. Ma lo possono dire tutti. Il mio calcio è libero, senza etichette. Deve esserci il giusto mix tra le idee che uno ha, la qualità della rosa, gli obiettivi da raggiungere, la conoscenza del club, la sua storia e il suo Dna che non va tradito. Rispettando le radici e la tifoseria”.
Quanto mi dai se non ti chiedo anch’io quanto ti piacerebbe allenare la Roma? “Nulla, perché ti rispondo senza problemi… Tutti sanno cosa è stata e sarà sempre la Roma per me: una seconda pelle, un amore appassionato e puro. Certo che mi piacerebbe allenarla, quando sarò pronto e me lo sarò guadagnato per il mio valore da tecnico e non per il mio passato da calciatore. Credo che accadrà un giorno. Ma è un desiderio, non un’ossessione. Ora voglio fare le mie esperienze in Italia o all’estero”.
I tifosi ti avrebbero voluto co me vice Mourinho…. “Due minuti dopo l’annuncio del suo arrivo, il mio telefono è stato invaso di messaggi: “Sarai tu il vice…”.Era il desiderio del la gente, per la quale io sono co me un fratello. Ma a chiunque sostiene che Mourinho potesse avere bisogno di me consiglio di andare su Wikipedia e vedere tutto quello che ha vinto. Ecco, vi assicuro che l’ha vinto senza di me….”.
Cosa potrà dare lo Special One alla Roma? “Ancora prima di arrivare aveva già dato tanto. Aspettative, sogno, entusiasmo. Quello di cui si ciba ogni tifoso. Dopo l’addio di Totti e il mio, trovare una nuova identificazione era una necessità forte del tifoso della Roma”.
La gente sognava anche il ritorno di Totti… “Mi sembra sereno e soddisfatto del suo nuovo ruolo di agente, che gli permette anche di godersi la famiglia. Ma spero anch’io di rivederlo un giorno nella Roma. Invece di ripetere che non era pronto, che avrebbe dovuto studiare, io credo che Francesco avrebbe meritato una vera chance come dirigente, perché lui sa tanto di calcio. Non essere valorizzato e considerato lo aveva spento e deluso. Mi faceva male vederlo così”.
Alla fine il Covid ha colpito anche te, in Nazionale… “L’ho preso in Bulgaria. Sono stato subito male con febbre alta, ma l’ho sottovalutato. Avevo letto che alla mia età, 37 anni, al massimo avevi tre giorni di febbre. Invece è stato un crescendo. Ho vissuto tre fasi. La prima, di malessere vero: tosse tutto il giorno e nausea. Spossante. La seconda, della paura: in ospedale allo Spallanzani, dopo aver preso la saturazione che misurava 87 i dottori, che non smetterò mai di ringraziare, hanno cambiato faccia… Sono stato quattro giorni sotto ossigeno. La terza fase è stata quella dell’attesa: finiti i sintomi, sono rima sto 18 giorni positivo, senza poter uscire”.
Impazza la protesta dei no vax: che ne pensi? “Sono vaccinato, mai stato contro. Posso capire l’anziano che ha paura delle reazioni, ma le manifestazioni in piazza di chi parla di complotti e nega il Covid, le ritengo pura follia. Avere intorno gente che ragiona così mi spaventa. Il vaccino è l’unica strada per tornare ad avere una vita normale. Gli obblighi e le imposizioni mi fanno schifo sempre, la democrazia non si tocca, ma la tua libertà di scegliere non può intaccare la mia salute”.
Ma vincere è l’unica cosa che conta? “È una frase che non apprezzo. Non rispecchia quello che per me è lo sport. Se la Nazionale avesse perso ai rigori con l’Inghilterra avrebbe comunque lasciato un ricordo indelebile negli italiani. Il calcio è pieno di storie bellissime di chi alla fine non ha vinto. Ma di certo quello che pretenderò da tecnico è che i miei giocatori, da quando si svegliano a quando vanno a dormire, abbiano la convinzione e la voglia di vincere la domenica. Perché vincere non è l’unica cosa che conta, ma deve essere l’unico tuo obiettivo. Questa è per me la mentalità vincente”.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – Sportweek