Ieri il suo negozio preferito di Londra lo ha definito: “Il Re di Roma”. Magari avrà sorriso, Tammy Abraham, anche perché lo scettro appartiene a Mourinho, e questo gli avrà fatto dimenticare anche un po’ della stanchezza con cui aveva lasciato l’Olimpico giovedì notte dopo la semifinale contro il Leicester.
Stanchezza che però, intorno a mezzanotte, non gli ha impedito di fermarsi con una bambina di nove anni che lo aspettava per una foto. Prima Tammy e poi la scuola, come giusto che sia in una notte che per ogni romanista è stata magica. Tifosi e giocatori, giocatori e tifosi, come ha voluto sottolineare lo stesso Abraham quando ha chiesto ai fotografi di non scattare a lui, ma alla curva Sud impazzita di gioia.
Il più importante Tammy, il suo, l’aveva fatto sotto la curva Nord nel primo tempo: gol-qualificazione, il numero 25 della sua straordinaria stagione e il più importante, almeno fino a questo momento. In Italia hanno fatto meglio di lui soltanto Immobile e Vlahovic, due che la Serie A la conoscono da tempo, mentre l’attaccante inglese è alla prima stagione lontano da casa.
La sta disputando nel migliore dei modi, spazzando via in un colpo solo il ricordo di Dzeko e anche i tanti dubbi che hanno accompagnato il suo arrivo, visto che gli attaccanti inglesi non sempre hanno fatto bene lontano da Londra e dintorni.
Abraham, invece, ci ha messo pochissimo a prendere le misure e a cucirsi addosso la Roma: se Dzeko era più un 10 che un 9, Tammy ha segnato 24 dei suoi 25 gol dentro l’area. Il piede preferito è il destro (21 reti), di testa le marcature sono state 3 (compresa quella di giovedì contro il Leicester), una sola è arrivata con il sinistro, contro il Venezia.
E se è vero che i gol non solo si contano, ma si pesano, un altro dato racconta l’importanza di Abraham per la squadra: in 15 occasioni è stato il primo marcatore. Segno che se non sblocca lui la partita difficilmente lo fanno gli altri, anche perché le altre punte a disposizione di Mourinho non stanno vivendo la migliore delle stagioni. E infatti il tecnico portoghese praticamente non leva mai l’inglese.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – C. Zucchelli
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