Rosella Sensi, ex presidente della Roma e neo sindaco di Visso, ha rilasciato una lunga intervista, soffermandosi anche sul club giallorosso. Queste le sue parole:
È vero che Silvio Sensi, suo nonno, già sindaco di Visso è stato fra i fondatori della Roma? “Verissimo. La Roma nasce nel 1927 dalla fusione di alcune società, mio nonno era dirigente nel Borgo Pio. Dirigente, ingegnere e appassionato”.
Lei è stata presidente di quella squadra dal 2008 al 2011. Soffre a stare lontano dal calcio? “Come tutte le persone che amano quel mondo, mi dispiace molto. Ma è una circostanza di fatto: dovevo passare il testimone per vedere la Roma splendere come merita. Doveva andare così, anche se con modalità diverse”.
Vuole dire qualcosa sulle modalità? “Appartengono al passato”.
Sono spariti tutti? “Qualcuno può anche aver di dimenticato in fretta, si sa come vanno le cose. Ma molti altri sono rimasti. Il calcio ha il potere di creare legami fortissimi che durano nel tempo”.
Chi è rimasto? “Non voglio far torto a qualcuno. Ma se devo dire quattro nomi, solo quattro nomi, eccoli: Bruno Conti, Daniele Pradè, Gigi Di Biagio e Francesco Totti”.
Suo padre considerava Totti alla stregua di un figlio. Oggi come lo vede? “Io, scherzando, lo chiamo fratellone. Francesco era il figlio maschio che mio padre non ha mai avuto. Io credo che continui a essere il simbolo di un calcio più romantico, un mondo a cui si dovrebbero ispirare i bambini. Si può nascere a Roma, nel quartiere di Porta Metronia e diventare campione nella tua citta, nella tua squadra, senza mai perdere i valori con cui sei stato cresciuto”.
Lei non lo avrebbe mandato via? “No, mai. Anche perché definirlo un simbolo è riduttivo. Francesco Totti sarebbe in grado di dare molto come dirigente, non solo per quello che ha fatto e per quello che rappresenta”.
Dal calcio a conduzione famigliare al calcio degli americani. Dai padroni ai fondi di investimento. Cosa pensa della nuova era? “Penso che la Roma sia una squadra fortunata. Perché sta nel mezzo. Coniuga entrambi i mondi. Anche se la proprietà è straniera, è ben definita. C’è qualcuno – adesso – che si fa vedere. La famiglia Friedkin è presente e organizza la società”.
Con Luciano Spalletti vi eravate lasciati male. E poi? “No, non ci eravamo lasciati male. Anzi, quando è morta la mia mamma, venne a Roma per farmi un saluto. Ci siamo rivisti anche poco tempo fa, ci siamo salutati calorosamente”.
Come definirebbe il ct della nazionale italiana dopo il disastro agli Europei? “È un gradissimo professionista, e tale resta. È una persona molto seria”.
Le piaceva Mourinho? “Certo. Molto. A chi non piace uno così?”.
Secondo alcuni sostituirlo con Daniele De Rossi, cioè con una bandiera, è stato solo un modo per tenere buoni i tifosi. Secondo lei? “Lo so quello che dicevano all’inizio, ma Daniele ha dimostrato di essere un ottimo allenatore. Forse qualcuno non lo conosceva abbastanza”.
Qual è il suo rimpianto più grande? “Non avere fatto una buona comunicazione. Voglio dire: non essermi fatta conoscere. La comunicazione è fondamentale, l’ho capito troppo tardi. Forse al tempo della mia presidenza avrei dovuto spiegare meglio, raccontare quello che stavamo vivendo. E questo è il mio grande rimpianto”.
Ma davvero quando la Roma perdeva suo padre vi obbligava a mangiare la minestrina perragioni di tristezza? “Tutti chiusi in casa, sì. A casa con la minestrina”.
E adesso, nella sua nuova vita qual è il suo obiettivo per non doversi costringere a mangiare la minestrina? “Ci terrei a mettere le basi per il futuro di Visso: deve tornare a essere quello che merita. Ci sono frazioni incantevoli che vanno curate, qui c’è la sede del Parco dei Sibilini. A pochi chilometri abbiamo la fioritura della lenticchie di Castelluccio. Sono luoghi unici, magici. Vanno curati e valorizzati».
La Magica. Si può mettere qualcosa del tempo della Roma nel suo nuovo incarico politico? “Certamente. La passione è un modo di stare al mondo”.
FONTE: La Stampa